secondorizzonte spazi della scrittura è un sito di saggi e articoli, poesia, ma soprattutto racconti e romanzi – alcuni dei quali scaricabili gratuitamente cliccando qui – e inoltre pensieri e giudizi venuti da letture e riletture, suggerimenti e citazioni sull’esperienza dello scrivere e altri temi che contano nella nostra vita e nel tempo in cui viviamo. Leggi di più
“Il mondo è pieno di gente guidata da secondi fini, che cerca di convincerci ad agire al suo posto (spendere al suo posto, combattere e morire al suo posto, opprimere gli altri al suo posto). Ma in noi c’è quello che Hemingway chiamava ‘rivelatore di cazzate incorporato e antiurto’. Come riconosciamo una cazzata? Guardiamo come reagisce la parte più profonda e sincera della nostra mente in sua presenza”.
Paolo Malaguti, Fumana, Einaudi 2024 (pp. 300, euro 20)
Dopo la montagna del Moro della cima e la foresta brasiliana di Piero fa la Merica (in queste note nel giugno 2022 e nel luglio dell’anno seguente), Malaguti torna all’ambiente fluviale di Se l’acqua ride (in queste note nel novembre 2020), a quella “fetta bastarda di mondo dove i fiumi si impantanano, che pare la menino di lungo, prima di andare a crepare in mare, proprio come i cristiani, che finché sono giovani buttano via i giorni e le settimane e quando si accorgono di essere arrivati in fondo iniziano a tirare indietro, e a fare tesoro di ogni ora che gli resta da campare”.
“Non c’è dubbio che la differenza fra la mente dell’uomo e quella degli animali superiori sia certamente, per quanto grande, di grado e non di genere”.
“Ho passato la vita a leggere, ad analizzare, a scrivere (o a tentare di scrivere) e a gioirne. Ho scoperto che quest’ultimo punto è la cosa più importante”.
Franco Marcoaldi, I cani sciolti. Comunità di solitari, Einaudi 2024 (pp. 144, euro 15)
Il punto di partenza è la constatazione di “una condizione oggi piuttosto diffusa, anche se poco o punto riconosciuta nel nostro dibattito pubblico: quella di chi si chiama fuori. Di chi, volontariamente, si scioglie da inutili servitù e soggezioni. Non sta al gioco. Abbandona. Cambia scena. Prende un’altra strada. Si ritira nel bosco. Se ne va. In cerca di altri tragitti – più segreti, autentici, personali… vòlti a celebrare l’esistenza e a lodare il mondo”. Senza necessariamente andar lontano, anzi: rimanendo magari esattamente dov’era, in mezzo agli altri, come il protagonista di Perfect Days, che “è solo, ma non si sente solo (…) conosce gli aspetti creativi della solitude senza patire la loneliness”.
Sigfrid Nunez, Attraverso la vita, Garzanti 2024 (pp. 192, euro 18) e Il compagno fedele, Garzanti 2020 (pp. 224, euro 12).
Quando avvertiamo che un film appena visto è di quelli che ricorderemo e sappiamo che ha alle spalle un libro, può succedere che proviamo il desiderio di conoscere anche quest’ultimo. Non per fare l’ovvio, e spesso inutile o fuorviante, confronto (meglio il libro, è il più delle volte la conclusione), ma per trovare ragioni in più al proprio apprezzamento. Qualcosa di simile mi è capitato dopo aver visto l’ultimo film di Almodóvar, La stanza accanto, ma, appunto, è dei temi presenti in Attraverso la vita, il romanzo di Sigfrid Nunez che l’ha ispirato, che questa Nota intende occuparsi, riproponendone alcuni passaggi.
“Quando scrivo penso alle cose in un modo che è molto simile al ricordarle: le cose che immagino, nella mia mente sono vivide come ricordi, e come i ricordi possono generare un senso di nostalgia, anche se non sono mai accadute a me o a qualcun altro”.
Tracy Chevallier, La maestra del vetro, Neri Pozza 2024 (pp. 400, euro 20)
Il Tempo innanzitutto è protagonista in questo romanzo, perché “la Città d’Acqua è senza età. Venezia e le isole che ha intorno danno l’impressione di essere fuori dal tempo. E forse lo sono (…) il tempo sembra scorrere a una velocità diversa dal resto del mondo”. Di qui l’autorizzazione, di cui la scrittrice si sente investita, a proporre al lettore – inevitabilmente perplesso… – salti temporali che lo portano dal Quattrocento ai giorni nostri. Ma ci sono forse anche altre ragioni: la cultura materiale – della lavorazione del vetro, in questo caso – conosce evoluzioni che si svolgono in tempi più lunghi, e lenti, di quelli degli avvenimenti politici e del succedersi di detentori diversi del potere, e coloro che sono eredi di uno specifico saper fare attraversano la storia come rimanessero gli stessi.
“È stato detto, rovesciando la famosa tesi di Marx [“I filosofi hanno interpretato il mondo in modi diversi, ma si tratta di trasformarlo” (1845)], che non basta più trasformare il mondo, perché esso cambia anche senza il nostro intervento. Si tratta di interpretare adeguatamente tale cambiamento affinché esso non sfoci in un regnum hominis privo del suo monarca”.
L’Ateneo di Brescia. Accademia di scienze. Lettere ed arti ha organizzato nello scorso dicembre la giornata di studio Roberto Montagnoli (1941-1992). Editore, promotore e organizzatore di cultura, dedicataal fondatore della casa editrice Grafo, presso la quale ho lavorato dal 1989 al 2008. Quello che segue è l’intervento che ho pronunciato in apertura della giornata. (Carlo Simoni)
L’incontro con Roberto Montagnoli ha coinciso con l’avvio del mio impegno nel campo della storia del lavoro e delle sue testimonianze materiali. Risale infatti al 1980 la pubblicazione, con Franco Robecchi, di uno dei Quaderni di didattica dei beni culturali dedicato al vecchio macello di Brescia; a sei anni dopo l’articolo in “AB. Atlante bresciano” sulle aree industriali dismesse – con cui è iniziato il mai concluso dibattito sul progetto di un Museo dell’industria e del lavoro – e al 1988 la pubblicazione di un libro sul villaggio operaio di Campione del Garda, luogo ben conosciuto e caro a Roberto. Fu da questo libro che prese le mosse una nuova iniziativa della Grafo nel campo della storia locale, un campo che già l’editrice frequentava riuscendo ad assegnare nuova dignità alle storie di paese e del territorio – basti pensare alla collana degli Atlanti –, ma che si avvertì di poter portare a un livello di maggiore rigore storiografico e insieme di efficace impegno divulgativo promuovendo una nuova collana, Grafostorie.
“Mi irrita chi si rifugia nella nostalgia, chi circoscrive la gratitudine verso la natura misurando il ritiro dei ghiacciai. La vita è trasformazione: anche l’irresponsabilità delle azioni umane è parte del cambiamento. Io denuncio e lotto, sapendo però di dover accettare le evoluzioni che per colpa nostra ci segnano”.
Gaia Vince, Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico, Bollati Boringhieri 2024 (pp. 288, euro 27)
“Un mondo in cui tutti sono profughi: non solo i disperati che in proporzioni inedite abbandonano i paesi del Sud del mondo, ma anche i fortunati che ne abitavano quella porzione che chiamiamo Occidente e sono ora costretti anche loro a rischi e fatiche mortali nel tentativo di raggiungere i paesi più settentrionali dove esiste ancora l’acqua”: Bruno Arpaia, nel suo romanzo Qualcosa, là fuori (Guanda 2016, in queste note il maggio 2016) raccontava non di un day after, non di un terribile inatteso domani, ma di un oggi portato alle estreme conseguenze. Estreme ma prevedibili fin d’ora. Le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatteranno su un mondo che non le ignorava ma non le ha volute evitare.
“Penso alla morte – non perché sono morbosa ma perché sono pratica e la morte è inevitabile – e so che non voglio morire dopo aver passato anni a guardare le soap opera in tv. Ecco perché mi piace la creatività: dipingere, scrivere, creare qualcosa con materiali grezzi o cercare di trasformare un disastro in qualcosa di valido. (…) È come lasciare briciole di pane sul sentiero della mia vita per mostrare da dove vengo, dove sono stata e che sono stata qui. Naturalmente non sono sicura di dove sto andando. Fin da quando ero bambina ho avuto la consapevolezza della velocità con cui passa il tempo. Sento di avere così tanto da fare e così poco tempo”.
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