(il testo è tratto dal catalogo della mostra CapoLavoro. Arte e impegno sociale nella cultura italiana attraverso il Novecento. Museo Santa Giulia di Brescia 10 ottobre 2014 – 10 dicembre 2014, a cura di Mauro Corradini e Fausto Lorenzi, Roma, Ediesse, 2014)
Il ritardo che segnò la comparsa della grande industria in Italia fece sì che nel nostro paese la grande trasformazione si avviasse in un periodo nel quale la tendenza artistica dominante si stava ormai orientando in una direzione poco propensa ad ammettere la fabbrica fra i soggetti della pittura, mentre erano del resto quelli tradizionali che il gusto diffuso, e il mercato dell’arte, continuavano a prediligere: le ragioni addotte per spiegare la scarsa presenza dei luoghi del lavoro industriale nella pittura italiana possono probabilmente essere trasferite in qualche misura al caso bresciano.
Nonostante la complessità e il carattere pervasivo del processo di industrializzazione che investì dall’ultimo quarto dell’Ottocento la realtà locale, la novità rappresentata dalla fabbrica non pare aver inciso nell’immaginario quanto in altre situazioni. E’ tuttavia possibile individuare tracce significative delle diverse fasi che contrassegnarono la trasformazione della struttura produttiva bresciana in alcune immagini che danno un’idea della percezione del cambiamento che stava progressivamente riorganizzando il territorio e segnando irreversibilmente il paesaggio.
E’ interessante notare, dando inizio a questa breve rassegna, come anche edifici tra loro connessi da un sistema di canalizzazioni e dotati di ruote idrauliche – indizi inequivocabili della loro la funzione produttiva e della presenza, al loro interno, di macchine – siano rappresentati in quella che si può considerare una delle prime immagini della fabbrica nel Bresciano secondo il gusto del pittoresco, senza nulla concedere al sublime che in molti casi caratterizzava invece nella pittura inglese le rappresentazioni della fabbrica. Nella serie prodotta nei primi anni Trenta dell’Ottocento su “disegni dal vero” nella prima officina litografica fratelli Filippini, la prima avviata a Brescia, le cartiere della Valle del Toscolano (fig. 1) non sembrano turbare ma anzi completare l’armonia del paesaggio, così come la fucina da ferro dell’alta Val Trompia, che compare in un quadro di metà secolo attribuito a Faustino Joli (fig. 2), non evoca l’antro di Vulcano ma piuttosto un luogo di incontro e di socialità, al pari dei mulini ad acqua, soggetto che non ha mai cessato di essere privilegiato dalla pittura di genere.
Neanche la mole imponente del cotonificio Lualdi (fig. 3) – sorto nello stesso periodo vicino a Brescia, nell’allora comune di S. Eufemia – pare tuttavia creare uno stacco netto in quello che si lascia supporre come un contesto rurale. Il fumo nero che si alza dalla ciminiera si disperde subito in un cielo tanto vasto da accoglierlo senza esserne velato e le masse compatte degli edifici sono posate al limitare di una vasta distesa verde, punteggiata di aiuole fiorite. Nel quadro commissionato dall’imprenditore a Luigi Ashton, un rappresentante all’epoca quotato della pittura lombarda di paesaggio, il nuovo modo di produrre, solo immaginabile nei banchi di filatura all’opera dietro le file regolari di finestre, non rompe la tranquillità del parco signorile e la moderna fabbrica si direbbe entrare, senza sovvertirli, fra i soggetti e gli stilemi del vedutismo ottocentesco.
La stessa impressione può suscitare l’immagine del forno da ferro di Tavernole sul Mella nell’incisione pubblicata su “L’illustrazione italiana” nel 1885 (fig. 4), dove si sottolineano i tratti vernacolari dell’architettura del complesso, all’epoca sede di un’attività che Francesco Glisenti aveva aggiornato tecnologicamente ottenendone una produzione considerata d’avanguardia. Un’analoga volontà di minimizzare il carattere decisamente innovativo della fabbrica sembra trasparire anche nella rappresentazione che della maggiore filanda da seta di Carpenedolo offre Edoardo Togni negli anni Venti del secolo scorso (fig. 5): la ciminiera, anche se svettante sopra gli alberi, non domina la scena; l’edificio, che rivela anche in questo caso la sua destinazione nella serie di finestre che lo percorre, si integra nel paesaggio rurale che lo attornia; le operaie che, terminato il loro turno di lavoro, sono appena uscite dalla filanda potrebbero apparire contadine al ritorno dai campi.
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