Sergio Claudio Perroni, Il principio della carezza, La nave di Teseo, maggio 2016, pp. 104, euro 15
Lei è una scrittrice, e quindi scrive, nella sua stanza. Ma non vive, o non vive davvero. O così il disincanto le fa sentire.
Lui è un pulitore di vetri, quelli delle finestre dei palazzi. E’ pieno di curiosità, di allegria, e quindi vive. Ma non scrive. Pulisce i vetri.
Lei dentro, al sicuro.
Lui fuori, sul piccolo ponteggio mobile che sale e scende lungo la facciata.
Roba da Hopper. Invece no.
Perché lei potrebbe vivere, lo scopre parlando con lui: da dentro a fuori. Scopre di non essere insensibile agli occhi di lui che la guardano, ai complimenti che rivolge a quello che lei scrive (lo stava leggendo ad alta voce, lei, ma lui, con quel mestiere, ha imparato a leggere le labbra e ha ascoltato anche se la finestra era chiusa).
E lui potrebbe scrivere, lo scopre parlando con lei: di pensieri e cose da dire ne ha, tante da tenerle testa in dialoghi arguti, leggeri, scoppiettanti.
Come in un film francese.
Lei non è più una ragazza, né una signora in vena di giovanilismo.
Lui non è un don Giovanni, né un artigiano che va per le case ad approfittatore di signore tristi.
Parlano e bevono insieme il caffè, mangiano biscotti.
Lei lo invita ad entrare, anche, e lui accetta. Ma non accade nulla.
Accadrà in un luogo neutrale: non la casa di lei. Né il trabiccolo sempre in bilico di lui.
Sarà un pic nic sulla terrazza del palazzo l’occasione. L’occasione di “un bacio che è come il prolungarsi di un respiro”. Fine.
Come in un film francese.