Marco Balzano, Il figlio del figlio, Sellerio 2016, pp. 200, euro 13
Devono tornare giù, a Barletta, a vendere la loro casa, abbandonata da anni, da quando sono emigrati a cercar lavoro a Milano. E con loro, padre e figlio, decide di andare anche lui. Il figlio del figlio. Ormai diverso dal nonno e dal padre, e proprio per questo capace di vedere: la Storia, quella grande, nella vicenda della sua famiglia.
Una storia che starebbe tutta in una fotografia, se qualcuno l’avesse scattata: l’immagine di “tre uomini messi in riga a ricomporre il tempo”: “quello a sinistra si chiamava Leonardo. Era ancora analfabeta. È morto d’asma. Qui lo vedi seduto, ma in piedi era quasi uno e novanta. Grosso e forte come un guerriero. Era un contadino ma non aveva un pezzo di terra tutto suo, cosa che ha desiderato più di tutte. Si è fatto la seconda guerra in Sardegna, si è sorbito un bel po’ di fascismo da comunista ed è stato qualche settimana in prigione perché non ha mai preso la tessera. Il boom economico l’ha sbattuto a Milano insieme ai figli. Da contadino di pesche e ulivi è diventato operaio vicino alla Bovisa. Di fianco c’è Riccardo, il figlio. Anche lui è nato a Barletta, dove è rimasto fino a quindici anni. E’ venuto a Milano senza finire le superiori. Diplomato alle scuole serali, sposato e in un attimo padre. A vent’anni. Dicono che fosse molto taciturno. Era della generazione dopo la guerra. Pare che si trovasse bene a Milano e che non avesse più voglia di tornare a casa sua, che pure era sul mare. Faceva il perito chimico. L’ultimo, questo qui, è il figlio del figlio, Nicola. Il primo ad essere nato in ospedale. A essersi laureato. Non più un campagnolo inurbato, ma un insegnate di città. Un milanese…”
Una storia dura, ma lineare, una storia di emancipazione da secondo dopoguerra. La storia di una famiglia come tante. Ma intanto qualcos’altro è successo, qualcosa che la Storia non sembra saper registrare: “a tavola adesso si parla poco. Si commentano più che altro le notizie del telegiornale. (…) Mia madre sbuffa sempre, la pelle ancora chiara ma l’occhio vivace non si vede più. Non so se si sia spento alla fine della giovinezza o con le altre disillusioni che porta il tempo”.
Il tempo. E lì il problema. Lo sa il più vecchio, il nonno, che ha visto tutto e si è convinto che “è stato tutto troppo veloce per capirci qualcosa… e noi abbiamo dovuto essere vecchi e nuovi, e ci siamo ingarbugliati dentro”.