“Cosa vuoi ancora? Te l’ho già detto, lasciami stare che la mamma ha da fare”.
Ma i tuoi occhi non ne vogliono sapere.
Trattieni nello sguardo la gioia del futuro che verrà. Il domani vicino, alla tua portata, al quale ti affidi senza riserve e il cui garante è lì davanti a te, tua madre.
Lei va sempre veloce, ha sempre fretta. Il tempo non le basta mai.
Hai imparato che non devi darle fastidio, che non la devi intralciare, che devi fare le cose come vuole lei.
Si muove svelta, affannata. Prepara la cena mentre piega e stira la biancheria sul ripiano in marmo del tavolo della cucina, sul quale ha steso una coperta di lana e un telo bianco di cotone. Fa sempre così, quando stira.
E’ estate. Dalla finestra spalancata entra una luce che contiene tutte le promesse riflesse nel tuo sguardo.
Si avvicina ai fornelli frettolosa, e quando solleva il coperchio del tegame, la stanza si riempie dell’odore familiare del pomodoro e del basilico.
“Quanto manca mamma?”
Senza interrompere il movimento delle mani e delle braccia, si volta, poggia con forza il ferro caldo sulla stoffa, ti guarda per un istante e lascia uscire le parole con il respiro dello sforzo che sta facendo. “Te l’ho detto” soffia. “Due giorni. Oggi è venerdì, partiremo domenica”.
Domenica! Intrecci le mani e stringi, stringi forte per contenere l’euforia che richiederebbe di alzarsi dalla seggiolina su cui sei seduta e saltellare intorno a lei, al tavolo, scalpicciando a salti avanti e indietro per la stanza, una, due, dieci volte, avanti e indietro, cantando “Domenica, domenica!”.
Ma quando è domenica?
Rimani seduta, ancora la guardi e il tuo volto lascia trasparire tutte le domande che vorresti farle.
Quando arriviamo? E quando si vede il mare? E sul treno sto seduta vicino al finestrino?
E dove mangiamo? E andiamo subito alla spiaggia?
Piano, con calma, non bisogna farla arrabbiare.
Adesso ha finito. Ripone il ferro da stiro, ripiega il telo e la coperta e, con cautela, prende la pila di panni ben piegati e la porta in camera da letto.
Poggia tutto sul piano del comò, si alza sulle punte dei piedi e cerca di afferrare qualcosa dal ripiano più alto dell’armadio.
L’hai seguita, ancora canticchiando dentro di te “Domenica, domenica”, e la guardi, con la faccia illuminata dal sorriso che lascia trasparire tutta l’eccitazione che le tue mani piccole, ancora intrecciate, stentano ad arginare.
Non ce la fa, prende una sedia dal soggiorno e ci sale in piedi.
Quando riscende, ha in mano la valigia di pelle nera che deposita sul lettone.
Per te un tuffo al cuore: la riconosci, è proprio quella con cui si parte per il mare.
Le stai vicino, vuoi vedere, anticipando nel pensiero quel che sta per avvenire.
Sai già che adesso farà scorrere il cursore della lampo e che via via che i piccoli segmenti trasversali si separeranno, l’interno setoso della valigia lascerà intravedere il colore arancio del telo da mare, fregiato di una giraffa nera, e libererà l’odore di Antignano.
Si va sempre lì al mare, ad Antignano, dalle suore.
Per arrivarci bisogna prendere l’autobus fino alla stazione di Firenze, salire sul treno, che ha sedili di legno, e farsi portare fino a Livorno. Lì bisogna prendere un altro autobus, quello con la scritta che anche tu hai imparato a leggere, “Ardenza”.
E’ quello che rivela il mare. Dai finestrini si intuisce la luce blu che risale per le strade di quella città che ancora non conosci, e ad ogni svolta pensi “eccolo, eccolo, adesso si vede”.
Quando riesci davvero a vederlo ti mozza il fiato, e le tue manine si intrecciano.
Antignano si riconosce dal suo odore. Un miscuglio composto di salsedine, di catrame, con cui i pescatori riparano le barche sul molo, di resina profumata di pini marittimi che, nelle tue narici, si congiunge in un tutt’uno con l’odore delle stanze del pensionato gestito da suore in cui soggiorni e con i profumi che esalano dalle imposte verdi della finestra della loro cucina. Quando torni dalla spiaggia all’ora di pranzo – affamata, affamata! – quegli aromi ti raggiungono sul marciapiede prima ancora di arrivare al portone d’ingresso.
La sua voce ti riporta al presente. “Guarda cosa ti ha cucito la zia”.
Un vestito nuovo, per te, per andare al mare. E’ bellissimo.
Le dita si cercano, devono tenersi, subito, perché questo è troppo.
Il vestito è a quadrettini bianchi e rossi, ha le maniche corte e una gala sulle spalle, una striscia increspata di stoffa che, ne sei sicura, se corri si muove.
La guardi. Le apri sul volto un sorriso che non dicono le labbra, ma tutto ciò che sta loro intorno. Anche lei ti guarda. “Vediamo se ti sta bene”.
Un salto nei respiri, un vuoto, una mancanza d’aria che recuperi mentre alzi le braccia e lasci che la stoffa vi scorra sopra. Le sue mani ti aiutano a farla passare dalla testa, te la modellano intorno al corpo, tirano il tessuto davanti e poi dietro.
Alla fine chiude la cerniera che non si vede, ben nascosta su un fianco.
Veloce, quasi brusca, ti rimette le forcine nei capelli e ti lascia lì, davanti allo specchio lungo dell’anta centrale dell’armadio, mentre corre in cucina a mescolare la pomarola.
Ti guardi.
Anch’io, dal futuro lontano, da un tempo che neanche puoi immaginare, ti guardo.
Il tuo aspetto mi riempie di tenerezza, vedo i tuoi occhi che imprigionano l’esplosione di gioia per quel momento troppo carico di quello che c’è e di quello che sta per avvenire.
Nel fondo, in quell’abisso che contiene le orme dei passi che farai, scorgo quella preoccupazione che le tue mani stentano a frenare, attanagliate ai lembi del vestito.
E’ piena di domande, quell’ombra che appanna la trasparenza delle tue pupille scure.
E’ proprio questo che la mamma vuole? Che tu stia lì con quel vestito indosso, davanti allo specchio, in attesa che lei ritorni?
E’ così bello quel vestito nuovo, cucito per te, solo per te, che le domande ti assillano.
“Me lo merito?”, “La mamma davvero me lo farà indossare?”; e con le domande, i buoni propositi. “Devo stare attenta, non lo devo sporcare, non lo devo rompere o sciupare”.
E poi quella partenza, che solo a pensarci ti si infrange il cuore.
Il mare, domenica, ma quando è domenica?
Ti guardo, e dall’oggi distante da cui ti osservo, so che continuerai a cercare risposte
per quelle domande che non ti lasceranno mai, neanche quando sarai diventata grande.
So che per te ogni momento di gioia conterrà un’ansia sottile che ti farà muovere le dita, come se le tue mani si cercassero, come se le volessi intrecciare.