Salvatore Settis, Costituzione. Perché attuarla è meglio che cambiarla, Einaudi 2016, pp. 336, 19 euro
Libro utile, necessario. Utile in vista del referendum istituzionale di ottobre. Necessario indipendentemente da quello. Perché l’attacco alla Costituzione, il suo sistematico smantellamento non è cosa di oggi (il confronto – cui l’autore ci invita – tra la riforma Renzi-Boschi con il “piano di rinascita democratica” della P2 risulta a dir poco inquietante, quello con il progetto di revisione costituzionale di Berlusconi avvilente).
Viene da lontano e non ha di mira soltanto il cambiamento della natura e della funzione delle massime istituzioni: l’attacco è avvenuto e avviene su molti fronti, come gli articoli qui raccolti testimoniano e argomentano, dall’impostazione culturale e organizzativa della scuola alla tutela dei beni culturali, dalla gestione del territorio ai diritti dei lavoratori.
Non di oggi, e neanche soltanto scelta strategica del governo attuale: critiche e insofferenze, “aggiornamenti” letali e volontà demolitorie sono il frutto inevitabile di una generale progressiva soggezione della politica nei confronti dell’economia (quella finanziaria, non quella reale), della sudditanza (spacciata per decisionismo ed efficienza), dei governi nei confronti dei “mercati” e delle istituzioni sovranazionali, mondiali o europee che siano, che sfuggono a ogni logica di controllo democratico. E non si tratta di un’interpretazione tendenziosa: è una potente società finanziaria, la J.P. Morgan, a formulare – con riferimento agli stati della “periferia meridionale” – l’invito a modificare le costituzioni in modo da dare maggior potere ai governi rispetto ai parlamenti: giunge il 28 maggio 2013; di due settimane dopo è la presentazione della legge di riforma della Costituzione italiana in cui si sancisce l’inadeguatezza di quella vigente ad “affrontare le nuove sfide della competizione globale”.
Libro utile, necessario: per non confondere – quale che sia la scelta – il referendum cui saremo chiamati con un plebiscito sul capo del governo; per esser capaci di guardare oltre, di mantenere lo sguardo lungimirante (“presbite”, diceva Calamandrei) che ebbero i costituenti; per opporre alla disinformazione anemica dei telegiornali, e a quella premeditatamente sovreccitata dei talk show, una conoscenza simile a quella che favorirono le campagne di “alfabetizzazione costituzionale” che in Italia furono organizzate mentre si redigeva la Carta.