Filippo La Porta, Indaffarati, Bompiani 2016, 180 pp., euro 12
“Altro che sdraiati!” Anche La Porta basa il suo discorso sull’osservazione dei propri figli, ma a differenza di Serra (Gli sdraiati, Feltrinelli 2013) arriva a conclusioni diverse: “le nuove generazioni danno più peso all’esperienza che all’erudizione”, all’etica vissuta e non alle idee astratte”.
“Non sono per niente apatici e intellettualmente pigri. Casomai “indaffarati”, anche se leggono meno, molto meno di chi – come i loro genitori – appartengono “all’unica generazione nella storia umana che ha letto più dei padri e più dei figli”, ma non possono sfuggire al sospetto “che la lettura sia stata anche un surrogato dell’esistenza”. Al contrario, “i nostri figli, o meglio una parte di essi, provano a vivere alcune delle cose che la nostra generazione ha solo teorizzato”. E dunque sono indaffarati, apparentemente divaganti, in realtà tesi a distinguere quel che è davvero credibile (non solo ideologicamente coerente) nei discorsi e nelle azioni degli adulti.
Già lette cose del genere, viene da pensare. Ma qualcosa di nuovo c’è. Lontano dal lucido pessimismo di Raffaele Simone (La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza 2006), La Porta può semmai richiamare l’ottimismo provocatorio di Baricco (I barbari. Saggio sulla mutazione, Feltrinelli 2013), soprattutto quando se la prende con i “giovanologhi” e il loro moralismo (da Galimberti a Benasayag allo stesso Serra).
Eppure, c’è altro in queste pagine, che ha il sapore della constatazione onesta, dell’osservazione ineludibile, come quella sulla “segreta complicità tra lettori bulimici – che vanno ben oltre i lettori forti, beniamini degli editori e dei librai – e non lettori”, accomunati dal fatto che, pur in maniera opposta, “fuggono la lettura come qualcosa che può trasformarli e, entro certi limiti, disturbarli”. Campioni, purtroppo non isolati, di una cultura priva di relazione con l’esistenza. Come non essere d’accordo? E allora vale la pena di prenderlo per quello che è, e dichiara di essere, questo libro: “Un azzardo antropologico (che) contiene una ipotesi non disperante sul presente (e sul futuro)”, l’ipotesi che il legame con la tradizione culturale non sia irreversibilmente compromesso, ma esposto “a un oscuramento solo provvisorio”, affidato “a una trasmissione inedita, a una consegna spiazzante ma forse temporaneamente necessaria”.
Del resto, “la teoria di un continuo regresso può essere persuasivamente dimostrata almeno quanto la teoria speculare del progresso”, conclude La Porta.
E dunque, “fino a che punto non ci troviamo di fronte a due facce di uno stesso problema“? Ma questo non è La Porta, è Eco, quello di Apocalittici e integrati (1964). Un libro che, curiosamente, non compare nella bibliografia finale.