Il mondo piccolo di un’agrodolce Francia

Gabriel Chevallier, L’annata memorabile del Beaujolais, edizioni e/o 2016, pp. 366, euro 18

Un paese di contadini, diviso fra la chiesa e il municipio. Fra il prete, benvoluto, e il sindaco, rispettato. Ma non siamo negli anni ’50 a Brescello, il parroco non ha il volto di Fernandel e il primo cittadino, seppur baffuto, non ha quello di Cervi.

La vicenda si svolge trent’anni prima, e il paesaggio – a Clochemerle, nel Beaujolais – non è dominato di campi di grano e granoturco ma da colline percorse dai filari di vite. E soprattutto: lo sguardo del narratore non è quello di Guareschi, filtrato dalla lente di fiere ideologie politiche. È piuttosto lo sguardo di un etnologo divertito dai personaggi che osserva e dai loro pettegolezzi, dalle loro invidie (sociali o personali che siano), dalle contese che ne derivano e vengono a galla soprattutto quando “il bel tempo alimenta senza tregua le chiacchiere” degenerando in un’“inesplicabile e scambievole follia”. E qui, come del resto in altre pagine, l’ironia bonaria sembra cedere a un pessimismo antropologico che va oltre i confini del villaggio francese: “in una regione benedetta da Dio, dove l’orizzonte non aveva che dolcezza e sorrisi, sotto un cielo raggiante indulgenza e amore, tremila teste di clochemerlini ronzanti di sciocco furore sciupavano quella pace troppo bella; e tutta Clochemerle rumoreggiava di pettegolezzi, di minacce, di dispute, di complotti, di scandali.”
Ma il sorriso torna subito a illuminare il racconto d’una luce che richiama certi film francesi, come quelli di René Clair. Non è un caso che questo romanzo e quelli che gli fecero seguito ad aggiornare le gesta degli abitanti di Clochemerle abbiano ispirato fortunate versioni cinematografiche (una delle quali con Fernandel, chiamato tuttavia a calarsi in una parte diversa da quella di un don Camillo francese).

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