Alessandro Zaccuri, Non è tutto da buttare. Arte e racconto della spazzatura, Editrice La Scuola 2016, pp. 169, euro 14,50
“Lo scarto costituisce una dimensione necessaria del nostro stare al mondo”: non esiste mondo che non debba fare i conti con l’immondo, l’immondizia.
Tanto più il nostro, nel quale dissipazione e povertà, conquiste tecnologiche e obsolescenza programmata sono i volti, inestricabili e confusi, di una dominante cultura del consumo, potente moltiplicatore di scarti di cui – senza cadere negli eccessi di chi soffre di disposofobia (“disturbo da accumulo”, nel linguaggio psichiatrico) – non è facile liberarsi. Prova ne sia il successo di manualetti come quello che recentemente prometteva la soluzione a quanti si affidino al Magico potere del riordino.
Ma non è il caso di cercare consigli di comportamento né di aspettarsi sistemazioni concettualmente rigorose da questo libro: un’enorme congerie di citazioni e rimandi, spunti e intuizioni, titoli di libri e di film, rapide descrizioni di quadri e installazioni, frutto della convinzione che “non è più possibile rappresentare e raccontare il mondo senza pensare, rappresentare e raccontare i rifiuti.” Un libro-deposito dunque, da attraversare senza correre. Se capita che torni alla mente una cosa che si è letto o un’immagine che si è vista, si tratta solo di aver pazienza, e andare avanti: salterà fuori, in una pagina o l’altra. C’è (quasi) tutto in questo libro, e allora si tratta di fermarsi se mai a raccogliere quello che sembra rispondente alla propria esperienza, o sorprendente per l’intuizione che rivela, o solo divertente. Facendo sosta magari quando ci si imbatte in qualcuno che sulla faccenda ha fatto il punto, a modo suo: più dei paesaggi desolati di Pasolini segnati da una “permanenza universale dei rifiuti”, è una delle Città invisibili di Calvino a proporsi come riferimento obbligato. A Leonia convivono due passioni: “il godere delle cose nuove e diverse” e “l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità”. Sennoché, questa coazione al nuovo e al pulito lascia intravvedere la spazzatura, sempre sospinta “fuori dalla città”, come “rovina moderna” che finisce con l’accerchiarla. E naturalmente non si può dimenticare il Calvino che ogni sera arriva fino al cassonetto a svuotare la sua poubelle agréée – la sua pattumiera approvata dai regolamenti municipali – e dà nuova dignità a questa quotidiana operazione: “Soltanto buttando via posso assicurarmi che qualcosa di me non è stato ancora buttato e forse non è né sarà da buttare”. Ma di “scrittori della spazzatura” ne esiste una schiera: da Dickens a Don Delillo, da Hrabal a Houellebecq e McCarthy. Senza naturalmente dimenticare la centralità della spazzatura nell’arte contemporanea, a partire da quell’installazione dell’anno scorso, al Museion di Bolzano, fatta di bottiglie vuote, stelle filanti e bicchieri vuoti, che un mattino gli addetti alle pulizie del museo pensarono bene di eliminare, pezzo dopo pezzo, secondo le regole della raccolta differenziata: una storia esemplare dell’Epoca dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria (che è un altro libro, fra i molti libri citati: di Pierluigi Panza (2015), per chi fosse interessato a proseguire il cammino…).