David Trueba, Blitz, Feltrinelli 2016, pp. 136, euro 14
Chi non conosce, di questi tempi, architetti che lamentano la bancarotta? “La crisi ci aveva abituati tutti a una precarietà un po’ ridicola – racconta il protagonista di questo romanzo – nella quale accettavamo incarichi avvilenti e stipendi disumani per sentirci ancora partecipi del sistema, per non puntare dritti alla mendicità.”
Ma non si piange addosso l’architetto paesaggista di questa storia, una storia di più o meno accettate, perfino allegre solitudini: si sorride spesso leggendola, e talvolta si rallenta, quando la pagina si addensa in riflessioni che raggiungono anche chi architetto – paesaggista o designer che sia – non è.
“Ma non ti dà fastidio che sia tutto così perfetto?, mi domandò Helga. Non hai la sensazione che oggi tutto sia raddolcito? In ogni prodotto c’è una bugia. I coltelli devono avere l’aria di non tagliare, le padelle sembrano oggetti decorativi, gli spigoli non esistono più e poi la gente si scontra con la realtà e si sente indifesa. Ero d’accordo, ma le spiegai che negli ultimi tempi anche le persone si facevano modellare così. Certo, aggiunse lei, basta vedere tutte le donne rifatte, dovrebbero essere i manichini delle vetrine ad assomigliare alle donne, non il contrario. Io sorrisi. Sì, la gente è stupida. No, mi corresse lei. Non è stupida, ha paura. Il fatto è che la vecchiaia è orrenda, disse, non dimenticare che il degrado ci fa paura. Cerchiamo di posticipare il declino il più possibile, ma con poco successo. Io con gli specchi ci litigo da tanto. Ma forse il problema, replicai, è proprio che non siamo preparati per guardarci allo specchio, ci rifiutiamo di farlo da troppo tempo e se ammettessimo semplicemente che obbediamo alle stagioni della vita non sarebbe così problematico. Facile parlare così, disse Helga, ma prova a viverlo. Per quanto tu sia assuefatto all’idea di sfiorire, ti assicuro che quando arriva il momento è una tragedia. (…) Magari fantastichi ancora di far innamorare una persona più giovane per illuderti di prolungare gli anni d’oro, ma la fine ti acciuffa sempre.”