Alain Badiou, La vera vita. Appello alla corruzione dei giovani, Ponte alle Grazie 2016 (pp. 112, euro 12)
La “vera vita” è quella guidata da un’Idea. È la vita che perciò “si lascia alle spalle il denaro, i piaceri e il potere”.
La “falsa vita” oscilla fra la scelta di bruciarsi nella soddisfazione immediata, nell’eccesso, e quella di votarsi alla riuscita, alla carriera: che si vada in un senso o nell’altro, è così che la vita cede all’imperativo dominante del capitalismo consumistico: vivere una vita fatta solo di lavoro, di bisogni e di soddisfazione di questi bisogni. “Corrompere i giovani”, nella scia di Socrate, significa contribuire a renderli consapevoli di questa falsa alternativa, premessa, appunto, di una falsa vita. Dice giovani, il filosofo, ma non possono non venire a mente anche i politici, i manager, i finanzieri logici e rigorosi, implacabili e arrembanti di giorno, e assetati la notte di travolgenti pratiche dei sensi, di esperienze erotiche inevitabilmente ripetitive, e dunque abitate dalla pulsione di morte. Resta comunque il fatto che i giovani sono le prime vittime della “vera crisi” del nostro mondo, e insieme a loro i vecchi (non a caso si auspica un’alleanza fra giovani e vecchi contro i quaranta, cinquantenni affermati), sapendo però individuare questa crisi non nelle défaillances del capitalismo finanziario, ma nel gigantesco vuoto simbolico che abita le nostre vite. Una “crisi storica della simbolizzazione” che suscita in alcuni un “desiderio di Occidente”, ossia l’adesione incondizionata all’idea che non esista altro mondo migliore di questo; in altri, un desiderio di tradizione, nazionalista, religiosa o razzista che sia. Ma le cose non vanno nello stesso modo per maschi e femmine. I ragazzi sono tentati dal fare del proprio un corpo pervertito (forandolo, tatuandolo, drogandolo), oppure dal sacrificarlo sull’altare della bella morte del terrorista, o ancora: dall’adeguarlo alle pratiche che ne faranno un “corpo meritevole” di una carriera che sarà solo un “tappabuchi del non senso” della vita che hanno scelto. Tutta un’altra storia per le ragazze: loro, differentemente dai maschi, non sembrano costrette – dall’evaporazione della figura del Padre e dalla scomparsa di ogni rito d’iniziazione, come il servizio militare – a un’adolescenza infinita. Anche per loro l’iniziazione è scomparsa: matrimonio e verginità hanno perso il senso che avevano, ma questo, all’opposto dei loro coetanei di sesso maschile, le costringe a essere donne prima del tempo, a lasciarsi divorare l’adolescenza, se non addirittura l’infanzia, dai discorsi, e dalle pratiche relative all’abbigliamento, alla cura del corpo, allo shopping, al sesso. Di fatto, anche per loro la via dell’affermazione personale, competitiva, è quella che sembra naturale si apra: ecco allora la figura della donna in carriera, che rifiuta o circoscrive la maternità ad esperienza fra le altre, tendenzialmente non più bisognosa dell’uomo, né dal punto di vista riproduttivo (vedi i progressi biotecnologici) né da quello simbolico (che farsene di un adolescente che non sa crescere?). Ma c’è anche una pars construens, in questo libretto denso e pieno di diagnosi fulminanti: amore, arte e scienza, politica – sì, anche politica, come fare collettivo orientato da un’Idea – sono le strade da battere per guadagnarsi una “vera vita”, per costruire insieme, donne e uomini, una nuova simbolizzazione egualitaria. Capace da un lato di evitare l’autoreferenzialità sterile degli Occupy Wall Street e di stabilire invece un’alleanza fra coloro che, senza appartenere all’élite dei ricchi, hanno da vivere e i diseredati che costituiscono la maggioranza della popolazione mondiale. Una nuova simbolizzazione in grado, d’altro lato, di affrontare quello che oggi è “il punto-chiave di tutto”: “la riproduzione della specie umana, le sue modalità e la sua simbolica”. E saranno le donne a indurre gli uomini ad associarsi in questa direzione: “non so quel che le donne inventeranno”, ma “nutro in loro la massima fiducia”, conclude il quasi ottantenne pensatore.