Maurizio Maggiani, La zecca e la rosa, Feltrinelli 2016 (pp. 164, euro 18)
Non è lo sguardo pieno di meraviglia e soggezione riconoscente del cittadino che guarda la natura quello che Maggiani posa su piante e animali: lui in campagna c’è nato, e c’è tornato a vivere.
Il suo è uno sguardo alla pari. Di creatura fra le creature. Uno sguardo d’amore, certo, ma nel quale l’animale resta animale: negli occhi della cavalla coccolata dalla sua padrona si legge dolcezza ma anche rancore per la cattività impostale, e la gatta che porta animali morti in omaggio ai padroni non fa altro che il suo dovere e “ottempera il mandato felino che le è stato affidato dagli avi”. Non antropomorfizzare gli altri esseri viventi non impedisce di amarli, ma porta se mai ad amarli tutti. Il vecchio gelso come l’edera che l’ha ricoperto rischiando di soffocarlo: “Il gelso è bellissimo, ma è bellissima anche l’edera, pervicace e delicata”, che, cedendo alla volontà dei famigliari, l’autore a malincuore finisce per sacrificare, estirpandola. Ha a che fare con questo atteggiamento alieno da ogni antropocentrismo, lontano dal considerarsi apice del creato e destinatario privilegiato dei colori, dei profumi e dei sapori che l’ambiente, coltivato e no, ci fornisce, l’ironia lieve che attraversa i 123 capitoletti che, rigorosamente disposti in ordine alfabetico, da Abete natalizio a Zecca, compongono questo libro (dopo esser comparsi sulle pagine del “Fatto quotidiano” e del “Sole 24 Ore”). Un’unica musica li percorre, e li si assapora come frutti appena colti, ognuno col suo nocciolo lucido come un haiku. E con quel colpo d’ala finale, beffardo o pensoso che sia, così vicino alle fulminanti conclusioni di molte poesie di Wisława Szymborska. Una lettura natalizia, a suo modo – si potrebbe aggiungere – ricordando l’appello “per la buona morte degli alberi di Natale” e la compassione per la solitudine in cui lasciamo sfiorire le stelle di Natale, “trattate al mercato dei fiori come fossero cotechini da smaltire per tempo” e nel giro di poche settimane dimenticate.