Jean-Luc Nancy, Banalità di Heidegger, Cronopio 2016 (pp. 78, euro 11)
Leggere che nel pensiero di Heidegger si incontra un “temibile intrico che non vale la pena di analizzare”, ed altre valutazioni del genere, quando a dirlo è un filosofo come Nancy, conforta: neanche lui può sfuggire al contagio dell’astrattezza delle formule e dei neologismi del filosofo tedesco, ma è come se ogni tanto – come fa il nuotatore che alza la testa dall’acqua per respirare – introduce un commento chiarificatore, semplice e inequivocabile, del proprio pensiero, e così fa respirare anche il lettore. Al quale risulta fin dall’inizio chiaro che come la banalità del male della Arendt – vale a dire il ridursi alla semplice proceduralità degli ordini la cui esecuzione si risolveva nell’efficienza della macchina dello sterminio nazista – non sottintende affatto la volontà di sminuirne la portata e l’orrore. In modo del tutto analogo la banalità di Heidegger non riduce la responsabilità innegabile del suo antisemitismo ma si rivela come una trasposizione su un piano filosofico di quella stessa torsione del senso che permetteva agli aguzzini nazisti di fare il loro lavoro.
Un (ennesimo) pamphlet di condanna, dunque? No, è altro che si trova in questo libretto densissimo, dettato dalla consapevolezza che “condannare è una cosa, analizzare un’altra” e che “oggi dobbiamo impegnarci soprattutto nell’analisi, non perché sia il caso di dimenticare il giudizio morale (politico e filosofico), ma perché fin qui non abbiamo ancora approfondito a sufficienza il pensiero delle ragioni profonde delle nostre condanne.” L’antisemitismo di Heidegger non rappresenta un aspetto isolabile all’interno del suo pensiero. Ne è parte organica, ma di più ancora: le sue ragioni non riguardano solo questo pensatore: “non basta condannare l’ignominia dell’antisemitismo: bisogna metterne in luce le radici – e questo può significare solo intervenire al cuore della nostra cultura”. E non solo di quella dei nostri padri: la cosa riguarda noi, tutti, oggi, perché neanche “basta guardare attoniti a una storia che ci pare correre verso la propria rovina: bisogna imparare a rompere con il modello che questa storia si è data, quello di un progresso in una conquista del mondo da parte dell’uomo e dell’uomo da parte delle sue finalità esponenziali”.