Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza 2017 (pp. 207, euro 16,50)
Che il romanzo, a differenza della saggistica, sostanzialmente ignori il cambiamento climatico può essere considerato un fatto marginale solo a patto che, da un lato, non ci si sia ancora convinti della portata epocale del fenomeno e, dall’altro, non si abbia presente che la narrativa è spia e insieme produttrice di immaginario collettivo, di cultura diffusa.
Ghosh spazia sulla letteratura occidentale e fa entrare il lettore in quella dell’Oriente – indiana in particolare, della quale si sa molto poco – per dimostrare che il silenzio della letteratura sul fatto di gran lunga più decisivo del nostro tempo, il suo esser priva di strumenti per affrontarlo, non sono che il segno di un più vasto fallimento immaginativo e culturale che agli occhi dei posteri – sempre che la crisi ambientale ne permetta la futura esistenza – apparirà come una “grande cecità”. Una tragica incapacità di lasciarsi alle spalle la “tracotanza predatoria dell’illuminismo europeo” e il suo misconoscimento della dimensione non umana della vita e del mondo, aspetti intimamente connessi dell’ideologia del capitalismo colonialista e, insieme, matrici di un pensiero che ha esteso l’illusione della regolarità della vita borghese, del suo culto della soggettività individuale, alla realtà intera. E’ così che si è reso impensabile ciò che non appare probabile, e questo nell’epoca stessa in cui i fenomeni climatici – con la loro violenza, estensione e imprevedibilità – dicono esattamente il contrario.
Ghosh non è uno scienziato, e neanche un filosofo: le sue non sono teorizzazioni, ma constatazioni ricavate da circostanziati esempi tratti non solo dalla storia letteraria ma anche da quella storia dell’ambiente tanto poco coltivata dagli storici di professione.
Si finisce di leggere questo libro con una consapevolezza nuova: non è solo uno stato di negazione (sapere e pure fare come non si sapesse: cosa diversa ma non meno inquietante del negazionismo) che non ci fa prendere sul serio il cambiamento climatico. E’ anche un atteggiamento culturale lentamente maturato e ormai profondamente radicato nella nostra cultura e nel modo di pensare la nostra vita. Un atteggiamento solidale – di fatto, al di là delle nostre idee politiche – con il sistema dominante. Un atteggiamento che ci rende ciechi di fronte alla più grande mutazione che gli uomini abbiano mai conosciuto, sordi alle voci che cercano di farci aprire gli occhi e convincerci che non c’è pensiero critico se il primo posto fra le minacce e le urgenze che incombono sul mondo attuale non viene assegnato al cambiamento climatico.