Yu Hua, Il settimo giorno, Feltrinelli 2017 (pp. 189, euro 16)
Le diseguaglianze non scompaiono neanche dopo che si è morti.
Il protagonista, in attesa della propria cremazione, non può sedere sulle poltrone riservate ai vip defunti, ma il sindaco, appena deceduto, ha la precedenza sui ricconi anch’essi in attesa. Perché, nella Cina di oggi, pur dominata dal mercato e conquistata dalla ricchezza, il potere dei burocrati di partito e dei funzionari pubblici ha ancora la meglio.
Morire si muore, ma occorrono i soldi per la cremazione e poi per la tomba, altrimenti si è costretti a vagare sul confine tra la vita e la morte, dopo esistenze vissute in una società competitiva, in cui una moglie può lasciare il marito per un altro che le garantisce la carriera, o una fidanzata suicidarsi perché perché quello che il compagno dopo molte insistenze le ha regalato è un iPhone tarocco. Una società in cui l’accesso alle cure è costoso e difficile, i prezzi degli immobili conoscono impennate che tagliano fuori la gran parte della popolazione, l’informazione è distorta, i neonati eliminati – secondo i dettami della politica del figlio unico – sono gettati nel fiume come “rifiuti ospedalieri” e l’unico cibo non è adulterato è quello che viene servito ai banchetti di Stato.
Una denuncia del sistema cinese, dunque? Anche, e delle più caustiche, ma non solo. Radicale e disincantata, la critica che percorre questo libro, incarnandosi in storie e personaggi che vivono situazioni paradossali, ricorda certe pagine di Swift ma lascia emergere, in contrappunto, uno sguardo pur sempre ironico ma pieno di pietas nei confronti di vite inconsapevoli e smarrite e tuttavia capaci ancora di amore. Dell’amore disinteressato di un padre per caso, un ferroviere che adotta il bambino trovato fra i binari e lo cresce, dando vita a una vicenda dal sapore cechoviano. Ma è soprattutto dopo, in un aldilà dove non esiste più la solitudine, e tutti sono buoni con tutti, che appare chiaro come si stia meglio da morti che da vivi. Anche perché, divisi da invidie e disamori nell’aldiquà, passata la soglia tutti si ritrovano: amici sinceri, parenti solleciti, amanti appassionati.
Il tutto narrato non ricorrendo alla corrosività della satira, ma con la grazia e la leggerezza di un apologo grottesco.