Massimo Tedeschi, L’ultimo record, De Ferrari 2017 (pp. 105, euro 9,90)
Il Garda, ma non quello di oggi, siamo all’inizio degli anno Trenta.
Le strade sono sterrate, percorse dai carri dei contadini – che non hanno ancora imparato a fare un vino che non dia vertigini alla testa e bruciore allo stomaco – e dalle biciclette di chi va o torna dal lavoro – nelle cartiere, negli alberghi, nelle limonaie che ancora rimangono. Poche le macchine. Giusto qualche Balilla, come quella del commissario Sartori. Italo Sartori. Trasferito sul Garda dal suo Abruzzo come Rocco Schiavone ad Aosta dalla nativa Roma. Ma non incazzato sempre come quello. Né serioso e umorale come Montalbano, anche se – come il commissario di Vigata all’agente Galluzzo – ogni volta che sale in macchina raccomanda a Bubbico, il suo autista, di non correre. Perché lui, Sartori, odia la velocità, e tollera a fatica la mania dilagante in Riviera: una mania della velocità, che si manifesta nelle gare di motociclette attorno al golfo di Salò, nel passaggio della Mille Miglia nel basso lago, nelle corse di motoscafi per la Coppa dell’Oltranza, lanciata da un testimonial d’eccezione come il poeta guerriero del Vittoriale, un’altra presenza che torna anche in questo secondo giallo di Massimo Tedeschi, dopo che , in quello precedente, Carta rossa, era apparso tutt’altro che estraneo all’intrigo che il nostro commissario aveva risolto.
Ma stavolta la sua non è un’indagine delle solite, perché il morto non c’è. Non c’è ancora per lo meno, e se qualcuno ci ha lasciato la pelle si è trattato di una fatalità, o così pare. Può capitare, del resto, quando si vola sugli idrovolanti della Reparto di Alta velocità di Desenzano e si cerca di battere il record stabilito volando ad oltre 700 chilometri all’ora, perché così vuole il Duce: per fargliela vedere, agli inglesi. E dunque Sartori è lì, fra piloti e meccanici, progettisti e istruttori di volo, che deve aggirarsi: nel covo dell’alta velocità, proprio lui che detesta la fretta, che non ama la frenesia persino quando a manifestarla è il corpo focoso della signora che puntualmente, con entusiasmo e generosità, lo accoglie nella sua villa a Portese.
Sabotaggio! urla il colonnello Bernasconi, che su questa pista cerca di indirizzare l’indagine del commissario, da lui chiamato a risolvere l’enigma di incidenti che si ripetono e possono costare la vita ai giovani piloti, ma soprattutto frenano la corsa al nuovo record e dunque rischiano di mandare a picco l’impresa (Mussolini, in visita a Desenzano, è stato chiaro: “ne ha pieni i coglioni di spendere soldi per il mio Reparto”, lamenta il Bernasconi). Senonché, i sommari interrogatori, condotti sempre con ironia circospetta dal sornione poliziotto, abile nell’arte dello gnorri, arrivano a una conclusione inattesa. Fra una mezza parola strappata a qualcuno che lavora attorno agli idrovolanti e qualche ammissione ottenuta da una giornalista francese, un console tedesco e un’aviatrice inglese – tutti turisti amanti del Garda ma stranamente curiosi degli aerei che lo sorvolano in velocità – la verità viene fuori, e come sempre è più complicata, e drammatica, di quanto potesse apparire. La figura del valente meccanico originario di Fratta Polesine, il paese di Matteotti, non è di quelle che si dimenticanoappena chiuso il libro.
Un libro che, pagina dopo pagina, si fa leggere in velocità, per restare in tema: perché si vuol vedere come va a finire. Un racconto riuscito perciò, ma non solo per la felicità dell’intreccio. Il piacere della lettura viene anche dai riferimenti puntuali al mix di “mito e meccanica, leggenda e tecnologia” racchiuso negli aerei e nelle imprese di Francesco Agello e degli altri cavalieri dell’aria; dai cenni alla cultura imperante (D’Annunzio in primo piano, il futurista Marinetti sullo sfondo), ma soprattutto dalla capacità di restituire il sapore dei luoghi, dei colori di un lago che nonostante tutto sembra – in certe stagioni almeno, in certe ore del giorno – aver saputo conservare la sua fisionomia inimitabile.