Giorgio Montefoschi, Il corpo, Mondadori 2017 (pp. 221, euro 19)
La vita accade mentre si susseguono giorni fatti degli stessi gesti e delle stesse parole, degli stessi tragitti e degli stessi incontri.
Più che la monotonia sembrano essere la continuità, la familiarità dei volti e dei luoghi, il tratto predominante: c’è un che di rassicurante negli elenchi di vie e piazze di Roma che i personaggi percorrono. Una topografia, e una toponomastica, precise, puntigliose, come le puntuali descrizioni di quel che si beve e si mangia. Insieme, o da soli.
La vita accade al di sotto di questa continuità, ed emerge, nella sua realtà, solo quando una malattia seria interviene a turbarne il ritmo. L’imprevisto sembra tuttavia potersi riassorbire, lasciando che l’esistenza riprenda a scorrere come sempre. L’infarto, a Giovanni – avvocato sessantenne, ammogliato, agiato – non cambia la vita. Eppure scava, impercettibilmente: gli sarebbe cresciuto dentro l’innamoramento per la compagna del fratello se non gli fosse capitato quell’accidente?
È Serena, la moglie, ad avvertire i cambiamenti che covano, e a dirne – con un tono che appare coerente al nome che porta – al marito, il quale invece va avanti, adeguandosi al trantran quotidiano come alla fatalità – così sembra volerla interpretare – di un amore che ribalta la sua famiglia e quella del fratello.
È tutta qui la storia. Un adulterio. Come in tanti romanzi. Ma più della vicenda, è lo sguardo del narratore a farci proseguire nella lettura: non giudicante, descrittivo, divagante spesso, e pure capace di far risaltare il vuoto che si annida, e cresce, nelle vite. Non enunciandolo, ma rendendolo percepibile nel fare di personaggi che sembrano sfuggire a se stessi, che sanno e non vogliono sapere, che agiscono come non sapessero.
Non c’è angoscia, ma un rattenuto – e non sappiamo fino a che punto consapevole – senso di liberazione nella constatazione che alla fine il protagonista – dopo un altro malore, in convalescenza nella località di montagna da sempre frequentata – non può non fare: “Si sta bene qui al Rid, mormora Giovanni. Ma lo sa che il tempo è finito”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora