Durian Sukegawa, Le ricette della signora Tokue, Einaudi 2018 (pp. 184, euro 18)
Per fare i dorayaki, dolci tradizionali giapponesi a base di pandispagna e marmellata di fagioli, occorre sentimento: a Sentarō, il pasticcere, sembra una stravaganza della vecchia Tokue – aiutante che da subito si rivela maestra – quello stare a guardare i fagioli da vicino; a osservarli uno ad uno, come se volesse sentirne la voce, o sperasse comunque di sentirla.
Ma capirà: il libro è tutto qui. Nel percorso di un uomo che si lasciava vivere, oppresso dai dolori del passato e dai debiti nel presente, e che poco a poco comprende che la via per imparare a vivere sta lì: nel cercar di “sentire la voce di ciò che non ha voce”, nell’imparare ad “essere all’ascolto”. Non è una cosa facile: Tokue è sessant’anni che si esercita, ma si può cominciare a qualsiasi età, anche se si è adolescenti come la studentessa golosa di dorayaki. Perché la differenza di età non impedisce che l’esperienza, fatta di una ricerca ininterrotta, si possa trasmettere: il tempo della vita non è poi tanto importante rispetto a quello delle stagioni che donano aspetti differenti al ciliegio che sta davanti al negozio di Sentarō e fiorisce, mette foglie, le perde, resta spoglio, rigermoglia, torna a rifiorire.
In questo, come in molta letteratura giapponese, la vicenda è tramite di un messaggio che, proprio perché originato dai fatti e aderente alla vita dei personaggi, non suona teorico, ed è quindi tanto più in grado di raggiungerci: nulla di ciò che facciamo – che cuciniamo dolci o scriviamo libri – si esaurisce nella sua strumentalità, nell’efficacia del procedimento, nella bontà del risultato, ma può esprimere – se si è all’ascolto – un irripetibile modo di rapportarsi a se stessi, e al mondo, e dunque essere la traccia che ognuno lascia del proprio passaggio sulla terra. Perché “siamo nati per guardare e ascoltare il mondo. E il mondo non desidera altro. Perciò – conclude Tokue, non con l’aria di chi sostiene una tesi ma di chi fa una semplice constatazione – il mio essere venuta al mondo ha un senso”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora