XY genotipo maschile che, nella maggior parte dei casi si esprime in un fenotipo maschile, cioè dotato di caratteri sessuali secondari da maschio: testicoli, prostata, pene e distribuzione pilifera specifica.
XX genotipo femminile che, nella maggior parte dei casi si esprime in un fenotipo femminile, cioè dotato di caratteri sessuali secondari da femmina: ovaie, utero, vagina, vulva, mammelle e distribuzione pilifera specifica.
La genetica è scienza diversa dall’antropologia, eppure entrambe si sono chieste se il secondo cromosoma sessuale maschile, cioè la Y, potesse essere il segno del comando, se in quella letterina, in quel simbolo si concentrassero tutta l’aggressività, la virilità, il potere, il dominio, la volontà di controllo, in una parola il patriarcato.
Biologismo versus culturalismo! Arriviamo sempre lì.
Bisogna anche dire che le genetiste femministe hanno sostenuto, nel secolo scorso, che quella Y fosse in realtà una X mancante, frutto di una delezione cromosomica che aveva amputato una gambetta dell’identità sessuale, mettendo al mondo una femmina dotata di protesi, eppure monca.
Ma a ben vedere, chi una Y la possiede, possiede pure una gambetta in più rispetto a noi XX. O, se proprio dobbiamo dirla tutta, alcuni una gambetta, altri una gambina, altri ancora una gamba, o al più una signora gamba e, quelli che credono che la sessualità sia tutta lì, un gambone della madonna.
Dunque, la genetica non può dire con esattezza come stiano le cose. Se sia nata prima la X e poi la Y, come il simbolo scritto farebbe pensare, o se siano venute al mondo in contemporanea, perché l’una senza l’altra non si reggevano, non si bastavano proprio. E allora i protozoi si sono fatti pluricellulari, le cellule mesenchimali si sono differenziate e il corredo genetico si è stabilizzato in ben due generi: XX e XY.
Questo fino a quando i geni delle nuove teorie non hanno cominciato a ipotizzare che il genere non esista, che siamo tutti maschi e femmine in potenza. Come se l’utero fosse un fenomeno culturale! Che forse hanno paura del corpo che abitano, o peggio ancora preferiscono vivere nell’indeterminatezza, nel neutro.
Chissà che ne direbbe il professor Freud, che forse di bestialità ne ha già dette abbastanza, nelle sue geniali pensate? Perché, proprio per dirla ancora tutta, l’invidia del pene è proprio una grande cazzata, per stare in tema. Che io, quel coso lì in mezzo alle gambe non glielo invidio proprio. Chissà che scomodità quell’appendice pendula, quella spugna rivestita da muscoli a volte ipotonica, a volte ipertonica e comunque sempre da tenere d’occhio perché altrimenti piscia sull’asse del bagno.
Lo dico sempre ai miei colleghi maschi: tenete a bada il cobra quando fate pipì, o se proprio non riuscite a centrare il water, almeno pulite.
Che loro si credono di avere chissà che cosa in quei cunicoli vascolari, tutta la genialità della scienza, il coraggio del soldato, l’astuzia del politico, la precisione e la decisione del chirurgo e potrei continuare per ore.
Sarà per questo che i poeti vengono considerati un po’ checche. Come se sentimenti, emozioni, tonalità dell’animo fossero solo femminili.
Mi viene il dubbio che ne abbiano paura, che siano costretti ad averne paura, vittime di un maschile imposto che mette la sordina a tutto ciò che non è testosterone purissimo.
Prova ne è il fatto che, chi di noi XX abbia mai provato a raschiare un po’ la crosta, è anche riuscita a trovare tesori di sensibilità sotto. Ma sotto sotto, perché loro li celano molto più profondi di noi, sempre per via di quella paura di non si sa cosa, che chiamano coraggio.
E se la vedano poi loro, che noi i nostri guai ce li siamo arati e vangati da sole, quelli che attenevano a ovaie e utero nostri, e anche quelli che avevano a che fare con l’organo loro. Perché, che si ricordino bene, di caverne sostenute da muscoli si tratta, non di osso, anche se a tratti, nei momenti di gloria, qualche dubbio potrebbe sorgere.
Ma non si montino la testa perché l’aspetto dell’osso dura per quel tanto, e poi rieccolo quell’organulo floscio, quella pelle sovrabbondante, rugosa come la faccia d’un vecchio.
Certo, a ben vedere quelle X e quelle Y si incastrano proprio bene e l’anatomia dà accesso a fantastiche combinazioni. E’ che essere diversi non è poi male. Si può discutere, litigare, alzare la voce, avere ragione e torto, provare a guardare con lo sguardo dell’altro senza riuscirci, fare la pace, capirsi senza parlare, pensare alla stessa cosa nello stesso momento, grattarsi le croste, tenersi su a vicenda quando si inciampa, condividere il tempo e a volte anche lo spazio senza esagerare, sciogliere paure, sperimentare il coraggio, insegnare a guardarsi dentro imparando a tollerare il fuori.
Si può perdere la testa, impazzire d’amore, vivere nel desiderio dell’incontro di quell’Y del cazzo, appunto, che ti offusca il self control e ti scombina i piani. Si può averne nostalgia. Si può continuare ad amarsi per anni e anni, per decenni e ventenni, perché come dice bene la Gualtieri
Tu sei del mondo la più cara forma
Tu sei il mio essere a casa
Sei casa, letto dove
questo mio corpo inquieto riposa.
E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma
lontana, scomoda un poco
perduta, come malata,
…allora tu sei la mia lezione più grande
l’insegnamento supremo.
Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste
l’uno solamente, senza il due.
E che i neutri vadano al diavolo.