Enzo Bianchi, La vita e i giorni. Sulla vecchiaia, Il Mulino 2018 (pp. 138, euro 13)
“Per chi crede…”: l’avvertenza ricorre nel discorso, sommessa, come un distinguo doveroso ma che non suona mai come consiglio a conversioni tardive né come segnalazione di un vantaggio acquisito.
Il credente la vede certo in modo un po’ diverso, ma sa anche che i dubbi, con l’età, crescono, e dunque…
La vecchiaia è vecchiaia anche per chi crede che la fine non sia fine del tutto. O meglio: tutti hanno la loro vecchiaia, tutti – quelli che ci arrivano – si trovano ad “addentrarsi in un paese straniero, in una terra di cui conosciamo solo poche cose”. E dunque, più che della vecchiaia, “occorrerebbe parlare di invecchiamenti, di processi molteplici e diversi nei quali le vecchiaie sono vissute”, ricordando sempre che “a ogni tappa della vita l’uomo giunge come un novizio”. E che cos’ha da imparare allora, giunto ai suoi ultimi anni? Che “è tempo di trovare tempo”. Lo dice il Qohelet, ma anche la saggezza orientale che Jullien ci ricordava in Una seconda vita (Feltrinelli 2017, in questi Appunti lo scorso 31 dicembre). E trovare il modo di darsi tempo fa tutt’uno con l’imparare “l’arte di lasciare la presa”, con la capacità di smettere di pensare di dover fare ancora qualcosa di decisivo nonostante le energie, e le motivazioni stesse, non siano più quelle del passato: “non sono libera di progettare, sono libera dal progettare”, constata Rossana Rossanda (Questo corpo che mi abita, Bollati Boringhieri 2018).
Ma un conto è dirla, dirsela, questa verità, un altro metterla in pratica: ad ogni passo sorgono resistenze a farlo, il passo indietro. Perché? Perché non si è capito e ci si ostina a non capire che si è, si è stati, di più di quel che si fa e si è fatto. E’ questo il passaggio vero che l’invecchiare impone: farsi persuasi che “si può diventare vecchi e vivere trovando senso senza restare fino all’ultimo aggrappati a quel che si faceva”. Il che non implica affatto cancellare il passato, ma anzi tornarci sopra, rivisitarlo dal punto di vista nuovo che l’età può offrire, perché “la vita – sosteneva García Márquez – non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.
Detto tutto ciò, occorre riconoscerlo: diventare vecchi oggi è più difficile di quel che era ieri, nelle campagne in cui Bianchi è stato giovane per esempio, se non altro perché allora era a disposizione di tutti un metodo per prepararsi alla vecchiaia, un metodo molto semplice: stare vicino ai vecchi, misurare di persona l’esperienza della vita nella sua ultima stagione. Il contrario di quanto avviene oggi, non occorre dirlo: “grama la vita per i vecchi, comincio a sperimentarlo – conclude Bianchi – anche se resisto e lotto perché voglio vivere la vecchiaia; non aggiungere giorni alla mia vita, ma aggiungere vita ai miei giorni.”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora