Francesco Erbani, Non è triste Venezia. Pietre, acque, persone. Reportage narrativo da una città che deve ricominciare, Manni 2018 (pp. 232, euro 15)
Vero: non è triste. È disperata. E noi con lei.
Questo viene da pensare leggendo il “reportage narrativo” del giornalista di “Repubblica”. Che a Venezia esistano – come si illustra nel primo capitolo – “le condizioni per prefigurare un organismo urbano del futuro” e che siano presenti nella città occasioni e soggetti che esprimono una “resistenza” – vedi l’ultimo – non basta a bilanciare la rabbia e la desolazione che gli altri cinque capitoli suscitano: la Laguna è “maltrattata”, dopo secoli di sapiente convivenza con i veneziani ridotta a semplice contorno della città; la quale a sua volta si è spopolata – innanzitutto per la differenza fra nati e morti – e, coi suoi poco più di cinquantamila abitanti viene simbolicamente oltre che economicamente e fisicamente “mangiata dal turismo”. “Una città di crociera” dalla quale non si sa bene come e quando verranno espulse le grandi navi e è destinata per anni ancora ad assistere alla tragicommedia del Mose, “scandalo infinito” che ha attraversato stagioni politiche fra loro diverse.
Dati aggiornati e incontri con intelligenze critiche vive nella città – a partire da quella di Edoardo Salzano – sono l’opportunità indubbia che il libro offre. Ma perché dargli quel titolo? Non si può scrivere se non ci si legittima nell’universo dell’ottimismo obbligatorio?
A quanto pare sì: Se Venezia muore, si intitolava il libro che Salvatore Settis ha dedicato alla città (Einaudi 2014).
* Arnaldo Fusinato, L’ultima ora di Venezia (19 agosto 1849)