Giacomo Papi, Il censimento dei radical chic, Feltrinelli 2019 (pp. 141, euro 13)
Siamo dalle parti del “Bispensiero” del George Orwell di 1984, per cui “la menzogna diventa verità e passa alla storia”, e soprattutto della sua “Neolingua”, che lascia spazio solo ai concetti più elementari vietando l’uso di molte parole; ma anche “la milizia del fuoco” di Fahrenheit 451 sembra far capolino in queste pagine, anche se qui di incendi di libri, ad opera dei detentori del potere almeno, non se ne vedono. Forse perché non sono tempi di tragedia i nostri, ma di commedia, e dunque per parlare della catastrofe culturale e politica è più appropriato un romanzo leggero, percorso da un umorismo che cattura fin dalla prima pagina (nonostante il fattaccio da cui si parte). Se infatti è vero che il buon racconto si vede dall’incipit – e lo deve credere certamente Papi, il cui primo romanzo non lasciava dubbi: Era una notte buia e tempestosa. 1430 modi per iniziare un romanzo (Baldini&Castoldi 1993) – ci siamo: “Il primo lo ammazzarono a bastonate perché aveva citato Spinoza durante un talk show”. “Nel mio programma – aveva precisato il conduttore – non permetto a nessuno di usare parole difficili. Le pose da intellettuale sono vietate”, e non era stato da meno il ministro degli Interni: “Si vergogni! Lei fa citazioni mentre il popolo muore di fame”. Ovvio che anche i social facciano la loro parte: “Muori tu e quel culattone di Spinozza!”
Una distopia dunque, di quelle però che ti dicono che il futuro è adesso, non solo perché il “primo ministro degli Interni” (si dice così, essendo che nel nuovo sistema le due figure coincidono…) ha curriculum, modi e fattezze che ricordano da vicino Lui – l’attuale primo ministro degli Interni, appunto – ma anche perché il timbro riprodotto in quarta di copertina ci assicura che “Questo libro non contiene parole difficili”. Lo assicura l’“Autorità Garante per la Semplificazione della lingua Italiana”, e lo dimostrano le cancellature di parole da intellettuali che costellano il testo.
La prima vittima è un attempato professore, esemplare in via di estinzione di quanti hanno “assistito allo sbriciolarsi del loro posto nel mondo senza intuirne le ragioni”: gente ostinatamente legata a modi di pensare novecenteschi – direbbe Baricco –, “parassiti” dicono i più nella Milano in cui la storia si svolge. E chi li guarda con simpatia, se non con rispetto, inutile dirlo: è un buonista, così come – ci viene opportunamente ricordato – quelli che si opposero alle leggi razziali nel 1938 i fascisti li chiamavano ‘pietisti’”.
I buonisti, comunque, sono pochi, sempre meno: il Popolo è unito nell’odio contro gli intellettuali, o meglio: i radical chic, riconoscibili dai maglioni di cachemire che portano ma soprattutto da tutti i libri che si tengono in casa. Nessun pogrom però: l’abbiamo detto, qui siamo alla commedia. Meglio un censimento del radical chic, che li protegga dal giusto furore popolare (sempre che versino la dovuta quota per risultare iscritti: come ad un albo professionale, insomma).
Di qui in poi al lettore resta solo di aspettarsi ad ogni pagina la trovata che tiene in vita fino alla fine il gioco del cosa succederebbe se davvero si arrivasse a questo punto. Si sorride quindi, ma sempre più amaro: il cosa succederebbe si confonde spesso con un inquietante cosa succederà, se non con un cosa sta succedendo. Come quando si arriva al “decalogo” contro la complessità, ad esempio: la complessità “umilia il popolo”, “è noiosa, quindi inutile”, ma soprattutto “è un’arma delle élite per ingannare il popolo”. Dunque, semplificazione della lingua, epurazione di centinaia di lemmi dal Devoto Oli (non dallo Zingarelli, “scartato a causa del nome imbarazzante, tanto più nella versione con Cd-Rom”), nuova grammatica (57 pagine in tutto: al primo posto, l’abolizione del congiuntivo). E intanto, le vittime? gli intellettuali, i radical chic? Be’, c’è da dire che, se si attengono a un comportamento ironicamente prudente non se la passano male. Parlano di politica e letteratura come gli altri di macchine e di sport: niente di più che “una differenza di argomento, non di sostanza”. Ma non tutti sono così: una minoranza continua ad esistere. Quella di chi è convinto che “non è vero che gli intellettuali non servono a niente”: servono a “sentirsi meno soli”, perché “le cose dentro i libri dimostrano che le cose dentro le persone si assomigliano”, e la cultura, più in generale, “è una scommessa sul fatto che alla fine ci si possa capire.” Una scommessa che vale la pena di continuare a giocare anche se “hanno vinto loro, per un po’”. Nel frattempo, conviene non dimenticare le parole incriminate, e dunque abolite. Per “custodirle”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora