“Se il mondo è davvero truffaldino e irreale come a me sembra stia diventando ogni giorno di più; se ci si sente sempre più impotenti al cospetto di questa irrealtà; se l’esito inevitabile è la distruzione, se non di ogni forma di vita, quantomeno di quasi tutto ciò che di prezioso e civile c’è nella vita… allo perché, in nome di Dio, gli scrittori sono contenti? (…) il fatto che la situazione sia angosciante pesa sullo scrittore non meno, e forse anche più, che su qualunque altro cittadino – perché per lo scrittore la comunità è, in senso stretto, tanto il tema quanto il pubblico. E può accadere che, quando la situazione produce sentimenti non solo di disgusto, rabbia e malinconia ma anche di impotenza, lo scrittore si perda d’animo e finisca per dedicarsi ad altro, alla costruzione di mondi del tutto immaginari, e alla celebrazione dell’io, che può, in diversi modi, diventare il suo tema, nonché la forza che determina il perimetro della sua tecnica.”
(Philip Roth)