Abraham B. Yehoshua, Il tunnel, Einaudi 2018 (pp. 340, euro 20)
Quel che resta, dopo la lettura dell’ultimo romanzo di Yehoshua, è l’autoironia benevola del protagonista, e insieme il senso profondo, la pratica sperimentata dell’amore che da decenni lo lega alla moglie. Due facce della stessa medaglia, due coordinate senza le quali Zvi Luria, ingegnere in pensione, non potrebbe affrontare con realismo e serenità l’avanzare di un’incipiente atrofia cerebrale e la conseguente perdita di memoria, dei nomi innanzitutto. Eppure, proprio questi sintomi, riconosciuti senza mezzi termini come spie di una irrecuperabile “demenza”, sono lo stimolo a reagire: tornare a collaborare, sia pure a titolo gratuito, a progetti stradali come ha fatto tutta la vita può rappresentare la terapia occupazionale migliore. E’ la moglie a suggerirgliela, e a darle possibilità concreta un giovane ingegnere che è andato a occupare quello che era stato il suo ufficio nell’ente pubblico “Percorsi di Israele”, un nome che evoca l’altro filone che attraversa questa come tutte le storie di Yehoshua: la sorte del conflitto fra palestinesi e israeliani, qui attraversato tuttavia da sotterranee correnti di solidarietà fra le due parti che ispirano idee come quella di non spianare la collina che ostacolerebbe la costruzione di una nuova strada militare, ma di attraversarla con un tunnel in grado di consentire la conservazione delle rovine archeologiche che coronano l’altura offrendo rifugio a un nucleo familiare di clandestini arabi. La scrittura piana di Yehoshua sembra echeggiare “lo spirito positivo di calma professionale” che ha sempre connotato l’impegno di Luria e continua a guidare il lavoro di pediatra svolto dalla moglie. L’uno e l’altra personaggi emblematici di un superiore spirito di civiltà non intaccato dalla guerra e capace di indicare una via in un paese dilaniato dalla violenza eppure così piccolo che neanche un demente smemorato potrebbe perdercisi. Un paese in cui del resto tutti sono un po’ “confusi”, ma nel quale sarebbe bello tornare a pensare – come facevano da giovani il protagonista e il suo amico Ben Gurion, il fondatore di Israele – che i contadini arabi e i beduini non fossero altro che “discendenti di ebrei che non se n’erano mai andati da qui, anche se, col tempo, erano stati costretti a convertirsi a un’altra religione”. Una “storia bizzarra”, certo, ma di quelle che “almeno danno speranza”. Proprio come il progetto del tunnel, altrettanto bizzarro, e costoso per di più, e proprio per questo realizzabile – nonostante la prevedibile opposizione dei burocrati del ministero della Difesa – solo in forza di una “demenza creativa” come quella di un “ingegnere senescente”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.