Antonio Prete, La poesia del vivente. Leopardi con noi, Bollati Boringhieri 2019 (pp. 192, euro 17)
C’è il sapore di una constatazione conclusiva nel nuovo libro di Antonio Prete su un poeta cui ha dedicato negli anni studi che hanno cambiato il modo di leggerlo – da Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi (Feltrinelli 1980) a Finitudine e Infinito. Su Leopardi (Feltrinelli 1998) e Il deserto e il fiore. Leggendo Leopardi (Donzelli 2004). Senza dimenticare il capitolo che nella nuova edizione di Nostalgia. Storia di un sentimento (Cortina 2018) si è aggiunto riservando uno spazio alla poesia e inevitabilmente richiamando Leopardi.
Sembra perciò l’esito di un consuntivo quello che si profila già nel sottotitolo e si chiarisce fin dalla prima pagina: “Ci sono poeti che continuano a stare con noi. Camminano con noi” e Leopardi è senz’altro uno di questi, perché “Ci accompagna con le diverse forme della sua scrittura”, “tessitura assidua di un pensiero poetante. Di un pensiero, cioè, che la poesia anima dei suoi modi, e dunque salva dal compimento, dall’ambizione del sistema, e trattiene nel campo aperto dell’interrogazione, dell’assillo della ricerca”. Quell’interrogazione, quell’assillo che, appunto, non ci lasciano per tutto il corso dell’esistenza, e che trovano – in modo diverso secondo le età della vita in cui torniamo a rileggerlo – rispondenza nel poeta che “oppone a una civiltà che ama le astrazioni – popolo, pubblico, massa – il corpo individuo: con il suo affanno, con le sue ferite. (…) E nella terra, così come nel suo luminoso satellite, scorge il ritmo di una comune appartenenza di tutti gli esseri a una cosmologia sconfinata”, e insieme al “mondo snaturato della natura”, la cui bellezza e integrità sono state piegate “alle ragioni della tecnica. O alla frenesia del consumo”, e compromesse dalla rimozione della fragilità del vivente, e della morte. Solo la poesia, allora, può “aiutare a conoscere ed abitare la natura”, la poesia, che “come la ginestra è un fiore tra le rovine”, capace tuttavia ancora di portare un “sorriso nella tela brevissima della nostra vita” – secondo la citazione di Sterne che ritroviamo nello Zibaldone –, nella vita di creature, quali sono gli uomini, costitutivamente desiderose di felicità e bisognose di infinito anche se, allo stesso tempo, consapevoli del loro destino di finitudine e infelicità.
Il rischio, volendo riferire di questo libro, è naufragare nel gusto della citazione, fin dal primo momento, quando si legge la prefazione dell’autore, e questo accade non solo per la qualità della scrittura, che sonda insieme aderisce alla voce del poeta, ma anche perché la critica di Prete è – potremmo dire parafrasandolo – una critica poetante. Una critica, cioè, che “non può essere altro che il racconto della propria esperienza di lettura”, della quale “si annotano passaggi per dir così interiori, cioè momenti in cui la presenza del testo agisce nel proprio sentire”, con “un’implicazione di sé nell’ascolto” tale che “il movimento dalla lettura verso la scrittura appare necessario”. Una scrittura, comunque, che sempre “dal testo muove e in sintonia con il testo e nello spazio del testo prende respiro”.
Da qui, da questa vicinanza del testo critico a quello poetico deriva una vicinanza crescente del lettore di questo libro agli argomenti e alle movenze del suo autore, sicché, volendo evitare il naufragio di cui sopra, non resta che enunciare – con le parole dell’autore, certo – alcuni dei temi che percorrono queste pagine, rinunciando a metterne in luce la concatenazione, rigorosa e rivelatrice, via via riproposta come un invito appassionato e convincente a misurarsi con le opere leopardiane.
Sono le costanti fondamentali della poesia di Leopardi che così emergono. L’“assidua dislocazione del punto di osservazione”, innanzitutto: “dal soggetto alla natura, dal sentimento del singolo al ritmo cosmico, dalle forme visibili e dominanti della civiltà a un’anteriorità luminosa”, i cui luoghi sono gli antichi, i fanciulli, gli animali (cui sono dedicate alcune fra le pagine più intense). Detentori di uno sguardo, di un modo di rapportarsi al mondo e alla vita che indica il punto di vista necessario per una critica della modernità aliena da ogni tentazione utopica (risultando sempre dominante “la fascinazione del prima e dell’oltre, non quella dell’altrove e dell’altro tempo”). Una critica sostanziale e pure capace di riconoscere che “La modernità è allo stesso tempo distanza dal corporeo e affinamento della sensibilità (…) sottigliezza dello sguardo”: una dimensione entro la quale nasce lo stesso pensiero poetante di Leopardi trovando nella ricordanza il suo movimento essenziale, “dolce perché porta con sé immagini perdute, sottratte alla prigione dell’oblio”, ma anche “amara perché l’immagine che porta con sé è una parvenza”, la cui “essenza è l’impalpabile effimero sparire”. Sicché il “tempo della poesia” è “un tempo che raccoglie quello che il tempo fisico, che è irreversibile, ha bruciato” e la poesia si definisce “come ospitalità di quel che è perduto”.
Il “romanzo familiare” con le sue figure e i suoi episodi, il rapporto con le città via via divenute per Leopardi luoghi di soggiorni più o meno duraturi, la sua complessa relazione con la traduzione, l’attualissima riflessione sugli italiani e l’Italia, i motivi di vicinanza e di distanza da Vico, l’abusata categoria del pessimismo a lungo pretesa quale chiave di lettura della poesia leopardiana sono altri temi che il libro affronta, commenta, integra in una visione complessiva e che qui si sono richiamati in una sintetica rassegna che non può in ogni caso tralasciare di segnalare pagine che spiccano per la loro capacità di mettere in pratica quello stile critico prima descritto. Pagine come quelle che nell’Elogio degli uccelli individuano “un piccolo compendio della filosofia leopardiana”, o come quelle dedicate all’Infinito, frutto di “un’immaginazione corporale” che detta una lingua percorsa dai “riverberi” di un “infinito osservato nella sua umana e comprensibile apparizione”, per questo in grado di “(mettere) in scena l’essenza stessa della poesia”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.