Janne Teller, È la mia storia, Feltrinelli 2019 (pp. 130, euro 14)
Il riferimento è esplicito: il Mann che fa valere le sue ragioni a proposito dei Buddenbrook, “un libro che viene sempre tirato in ballo in ogni processo scandalistico – scriveva in Bilse e io, nel 1906 –, per il motivo che i suoi personaggi s’ispirano in parte a persone reali”, quando dev’essere chiaro che “La realtà che un poeta utilizza per i suoi fini può ben essere il suo mondo quotidiano, le sue persone più vicine e care (…) ciò nondimeno esiste per lui – e dovrebbe esistere per il mondo! – una differenza abissale tra la realtà e la sua costruzione poetica: la differenza essenziale, cioè, che separa il mondo della realtà da quello dell’arte”.
Non è un grande scrittore a porsi il problema, in questo romanzo, bensì l’editore di un autore che grande non è, ma di sicuro incontrerà il favore del pubblico in un mondo come quello di oggi in cui “i media sono tutto, e l’assenza di scrupoli dello scrittore sembra fatta apposta per la luce dei riflettori”.
Eppure il problema si pone, tanto più che è il tema del discorso che il protagonista deve pronunciare l’indomani mattina: “Si ha il diritto di rendere pubblica una storia che ci è stata raccontata in modo confidenziale solo perché ci si è presi la briga di cambiare i nomi? Trasformare la realtà in narrativa dà carta bianca?”, si chiede, e la riposta che trova sembra quietarlo: “L’arte non è la realtà – sosterrà –. L’artista attinge dalla realtà per creare una riflessione narrativa sulla realtà”.
Ma la questione si complica: il passato non passa, perché possiamo sopravvivere a quello che ci fanno gli altri, non a quello che noi facciamo a loro. Non solo non passa per la donna che è stata da lui poche ore prima, diffidandolo dal pubblicare il romanzo che ha sul tavolo essendo che quella è la sua storia, ma coinvolge di fatto anche l’editore. Nel suo studio, alle prese con la stesura del discorso di cui leggiamo via via le argomentazioni, il problema di coscienza rappresentato dalla decisione se pubblicare o no quel romanzo deborda in un riesame complessivo della sua vita, della sua carriera, del suo matrimonio e delle sue molte relazioni parallele. La sua esistenza ha finito col trovare, di fatto, un termine di confronto ineludibile nella certezza morale di quella donna che si ritiene illegittimamente chiamata in causa dal romanzo. La scrittura di Teller restituisce il ritmo spezzato di un flusso di coscienza che torna continuamente su un dilemma inestricabile, si contraddice, rettifica, crede di aver trovato la soluzione per poi vederla sfarinarsi e tornare quindi ad arrovellarsi daccapo: “I Buddenbrook sarebbe un romanzo peggiore se la famiglia protagonista non fosse riconoscibile? Se i fatti narrati non si svolgessero a Lubecca, ma ad Amburgo?”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.