▸ dai giorni del coronavirus
Non basta avere tempo. Occorre averne tanto, ma non basta.
Ne hai fatto esperienza, lo sai.
Non sai scrivere nei ritagli di tempo. E neanche se il tempo che hai è un tempo dato, è quello e non di più.
Ti occorre molto presente per scrivere, ma un presente che puoi immaginarti possa durare: finché durerà il tempo della scrittura. Un altro tempo.
Un tempo che non è fatto di ore e di giorni. Anche se dopo, quando è concluso, potrai contare le ore e i giorni passati a scrivere. Ma erano ore e giorni che avevano futuro, dentro di sé.
Per questo, nel ricordo, ti sembrano appartenere, più che al passato, a un futuro anteriore.
È per questo che ci vorresti, anche adesso, tornare.
Ma non ti riesce di scavare quel presente fatto di futuro, nel tempo che tocca vivere adesso. Un tempo che non sai quanto durerà. Che non sai se durerà.
Scrivere sospende il tempo. Ma non si sospende un tempo sospeso.
Scrivere non ferma il tempo, lo rallenta se mai. Ma non si rallenta un tempo che sembra ogni giorno tornar su di sé.
Non si vince il tempo, scrivendo, e tuttavia può accadere di scoprire che non è un avversario imbattibile. Che non è un avversario, forse. Ma non ci si può misurare con un tempo che ti ignora. Con un tempo che è il tempo di una vita cieca.
Non è tempo di scrivere, questo, per te.
Non ti basta volerlo. Non ti basta star solo.
Se è una rinuncia, quella alla presenza degli altri, fra gli altri, non serve per scrivere. Se è un rifiuto, quello che ti fa evitare gli altri, che vorresti ti facesse scomparire agli altri, non serve per scrivere.
Non si scrive senza, non si scrive contro, gli altri.
Scrivere non è la fuga che prepara il ritorno.
Occorre lasciare la città per scrivere, ma non allontanarsene tanto da non vedervi vivere gli altri.
Scrivere è una solitudine finalmente abitata.
È la casa dove non inviti nessuno ma a nessuno vieti di entrare.
È l’isola che un istmo lega alla costa.
È la solidarietà che hai scelto per stare, finalmente, con gli altri.
Ma devi averla scelta avendola poco a poco imparata, scrivendo.
Non si scrive se gli altri ti sono stati tolti, e tu agli altri.
Non si scrive se la solitudine è un dentro senza fuori.
Non è tempo di scrivere, questo, per te.
Scrivere non è andare e venire, non è fare e disfare.
Non è domandare e rispondere, dire e contraddire.
Ma è di chi va e viene che scrivi, di chi fa e disfa, domanda e risponde, dice e contraddice.
Scrivere è il lavoro che fai mentre gli altri lavorano: scrivi per quando leggeranno.
Anche se pochi, anche se uno soltanto leggerà, presi come sono, gli altri, a fare altro.
Ma li avevi vicini quei pochi, l’avevi vicino quell’uno, mentre scrivevi.
Non si scrive se nessuno è presso di te.
Non si scrive se un unico orizzonte chiude lo sguardo, e non ne intravedi scrivendo un secondo.
Non si scrive se tutti, anche tu, siete presi a fare altre, poche, medesime cose.
Non si scrive se capisci che scrivere non sarebbe che una di quelle cose.
Non è tempo di scrivere, questo, per te.
C’è un tempo per scrivere, c’è un tempo per ascoltare.
Ascoltare quelli che parlano.
Ascoltare quelli che non parleranno più.
Ascoltare quelli che hanno scritto e quelli che scrivono.
Ascoltare quello che hai scritto.
Ascoltare gli altri.
Ascoltare l’altro che sei stato.
Ascoltare tutte le voci che attraversano la tua casa.
Che attraversano tutte le case.
grazie Carlo faccio depositare le tue sapienti parole in questo tempo smisurato che mi disperde