Almudena Grandes, La figlia ideale, Guanda 2020 (pp. 560, euro 20)
Le tre voci narranti che si alternano sono quelle di Germàn Velasquez, giovane psichiatra, María, un’infermiera ausiliaria, e Aurora Rodriguez Carbaillera, signora benestante e colta, ma anche assassina della propria figlia, uccisa senz’ombra di rimorso perché non corrispondente al modello che la donna avrebbe ritenuto rispondente alla propria eccellenza, alla propria missione di rinnovare niente meno che l’Umanità. Di qui il titolo italiano (La figlia ideale), senza dimenticare quello originale (La madre di Frankenstein).
Le storie che i tre personaggi raccontano sono innanzitutto le proprie, sulle quali si innestano le storie di chi ha contato nella loro vita: ha una struttura ad albero questo romanzo, che divaga e riprende il filo alternando, oltre alle voci, anche i piani temporali delle diverse vicende. Il tronco è senz’altro rappresentato dagli avvenimenti che segnano la vita di Germàn, ma di qui si dipartono i due rami maggiori (le due donne) che mettono a loro volta a quelli più sottili, ma per nulla secondari, di una schiera di personaggi diversi, in un intrico che sarebbe impossibile rendere in una breve nota.
A tenere insieme il tutto, oltre alla perizia narrativa dell’autrice, è il vero protagonista del romanzo: il franchismo, come del resto ci segnala il lungo sottotitolo facendo riferimento all’“apogeo della Spagna nazionalcattolica” e collocando con precisione i fatti (“Madrid, 1954-1956”). Lo scenario della vicenda è infatti un manicomio femminile che si trovava nei pressi della capitale: è lì che torna, dopo anni di esilio in Svizzera durate i quali si è impratichito nella professione, il protagonista, e fra le internate ne riconosce una, già paziente di suo padre, che ricordava bene, così come non l’aveva potuta dimenticare María, che della signora era stata, ancora bambina, amica e in qualche modo allieva, ma che ora non ne viene riconosciuta. O così pare, perché Donna Aurora è imperscrutabile nella sua depressione quanto nelle sue ire, nelle manifestazioni della sua intelligenza vigile e nei sogni deliranti che continuano ad accompagnarla. Il tutto, come si diceva, sullo sfondo di un paese nel quale sono in auge le “dottrine eugenetiche patrocinate dallo Stato franchista”, supportate dalla “morale ultracattolica che, interferendo continuamente nella pratica psichiatrica”, si oppone anche all’introduzione di un farmaco sperimentato in Svizzera, capace di attenuare i vaneggiamenti e le sofferenze indotte dalla schizofrenia e dunque, secondo le autorità della Chiesa, a tentare di “correggere il progetto divino”. La lunga storia della lotta – per nulla eroica, fatta piuttosto di onestà, di rispetto di sé stessi e quindi degli altri, e di amore – condotta da Germàn e María, nonostante le diversioni e le riprese continue, non è di quelle che si possono abbandonare prima di essere giunti all’ultima pagina del libro.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.