Mi è sempre più chiaro che il tempo che stiamo attraversando chiede di essere chiamato tempo della pazienza.
La pazienza non è inerte sopportazione; è un’energia che agisce con forza: generativa, creativa, illuminante. È all’opera in tutti i momenti della vita, ma ci sono situazioni nelle quali la sua azione si mostra più chiaramente dandoci la possibilità di osservarla e di riconoscerla.
La sofferenza è uno di questi momenti e lì la vediamo all’opera con le tensioni, i conflitti che è costretta ad agire, perché la pazienza non è data. È il frutto di un esercizio difficile nel quale impariamo a conoscerci, riconoscendo le energie originarie della nostra natura: la mitezza, l’aggressività, l’ira… perché è con queste che ciascuno/a di noi affronta le tensioni da cui può scaturire la pazienza. Mi sembra di poter riconoscere tre generi di pazienza: la pazienza dell’attesa; la pazienza creativa; la pazienza filosofica.
Il tempo che stiamo vivendo le mette all’opera tutte e tre.
La pazienza dell’attesa, energia generativa, quella della madre che accoglie nel suo corpo la gestazione. Esperienza che si trova faccia a faccia con il mistero, in tensione con il senso di impotenza , in conflitto con la volontà di tutto controllare, con l’illusione di poter dominare il corso del processo… Facciamo fatica a percepire la maternità in questi termini perché la medicina ci dà l’illusione di tener sotto controllo la gravidanza, ma se ci pensiamo bene, non può interferire con il divenire dell’embrione, una volta avviato il processo, se non interrompendolo o disponendo qualche misura di protezione. Come fa un bravo giardiniere che ha messo a dimora un seme.
La pazienza creativa, propria dell’arte, della poesia, dell’invenzione letteraria. Questa pazienza matura in conflitto e in tensione con l’impazienza, la frettolosità, la volontà di raggiungere un risultato, l’incapacità di ascolto interiore… “Nel cuore è la sorgente della parola”, si legge nelle Upanishad. In questo tempo abbiamo bisogno di parole che scaturiscano da questa sorgente. La pazienza filosofica: la pazienza di pensare, di riflettere, di trovare parole precise. Perché maturi questa pazienza ci vuole coraggio, il coraggio di riguardare quello che è accaduto e sta accadendo nell’attesa che la verità si faccia sentire, che nella sofferenza si possa avvistare un significato aprendoci a letture impreviste del reale, aprendoci a una visione più ampia delle cose che accadono.
In conclusione, la segnalazione di una lettura utile e una riflessione di Romano Guardini:
*Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino 2014
*“Per la pazienza ci vuole forza, molta forza. Solo l’uomo forte può esercitare una pazienza davvero viva: può riprendere su di sé sempre di nuovo ciò che è, e di continuo ricominciare. La pazienza senza forza è pura passività, supina subordinazione, abitudinarietà cosificata. E occorre amore, a una pazienza autentica, amore per la vita. Giacché le cose vive crescono lentamente, hanno la loro ora, fanno giri e rigiri numerosi. Esse hanno bisogno di fiducia. Chi non ama la vita non ha pazienza con essa. Allora arrivano le furie e i cortocircuiti. E ne nascono ferite e cocci.”
Immagine e riflessione illuminanti e generative di pensieri … fra questi uno: nella pazienza creativa è implicita l’attesa…l’attesa come tempo di gestazione in cui, a sua volta, è implicita la ripetizione… la pazienza della ripetizione nel farsi delle stagioni, della cura nel farsi della vita e dei bisogni degli esseri viventi… E sì “…occorre amore…”
Cara Delfina, a proposito della pazienza creativa, io trovo che sia una pratica che racchiude un grande insegnamento, quello del provare e riprovare senza scoraggiarsi, avendo fiducia nelle imprevedibili risorse che la vita offre.. è vero, occorre amore, la sua energia.