Valentina Durante, Enne, Voland 2020 (pp. 169, euro 16)
Una “vita fatta di viaggi all’estero, alberghi lussuosi, fiere prestigiose e spettacoli, cene e concerti” quella del “Responsabile Marketing in una multinazionale del fashion” che Giorgio Nazareni è stato. Fino a quando “la donna che (avrebbe) dovuto sposare” se n’è andata. Per sempre. E allora ha cambiato vita. Un’altra professione? No, o forse sì: fa tre giorni alla settimana la coda in un ufficio postale per conto di anziani e malati e si è sistemato nella dépendance di una villa disabitata facendo in cambio il custode e qualche lavoretto di giardinaggio.
La voce narrante è la sua; il destinatario è Enne (Enne come Nazareni…). A lui sono indirizzate le lettere che scandiscono una narrazione, fatta di pochi eventi e molte riflessioni, sulla propria scelta, sulla nuova vita convintamente, meticolosamente cadenzata su pochi gesti sempre uguali. Quei pochi che richiede la sua “occupazione” serale (non un “lavoro”, tiene a precisare): ridisporre ogni sera dieci vasi di vetro sulla mensola a ciò esclusivamente destinata, distanziati fra loro con millimetrica precisione. Non è un rito zen né il rituale di un ossessivo, si precisa. E allora cos’è? Lo decida il lettore. Di sicuro è il culmine e l’emblema di una serie di comportamenti che rompendo con la vita precedente, con il mondo dell’utilità e degli scopi, dei desideri e dei progetti, permette al protagonista di essere, non felice, ma lieto. Perché non ha legami e può permettersi di osservare affascinato la noia degli altri senza provarne; di coltivare l’“estraneità” intavolando chiacchiere casuali con gli altri che sono in coda allo sportello, a volte lasciandosi andare a confidenze che subito evaporeranno; di condurre insomma e preservare con ogni possibile accorgimento una vita in cui “non ci sono intrusioni”: “la mia vita – sintetizza il protagonista – ha l’autosufficienza paradossale della vita dei vecchi che, pur nella loro condizione di dipendenza materiale, non devono niente a nessuno. Nessuno si aspetta più niente da un vecchio, così come nessuno si aspetta più niente da me. Disincagliato dalle attese altrui e avendo ormai annichilito le mie, sono un uomo libero”. Fine della storia: potrebbe essere, invece qualcosa succede. Nonostante il suo sovrano distacco, i pacchi che ogni settimana una giovane signora gli affida perché li spedisca a un tale che sta a pochi chilometri lo intrigano. E cede: li apre, si lascia andare a immaginare storie d’amore e disamore fra i due, giunge a sostituire gli oggetti in partenza entrando così lui stesso in quelle storie. Solo immaginate, certo, ammette Nazareni, ma “L’unica realtà che mi sembra di scorgere è quella immaginata (…) in un mondo che è dominato dall’errore e dall’impermanenza”. E del resto, continua – se ora vietassi a me stesso di assecondare le mie immaginazioni, ebbene, non sarebbe una fuga anche questa? E io non posso vivere in eterno come l’uomo che scappa”.
È questo il tema del romanzo: scomparire, magari restando dove si stava ma essendo di fatto fuggiti, spariti. È lo stesso su cui ci ha intrattenuto David Le Breton (Fuggire da sé. Una tentazione contemporanea, Cortina 2016, in queste note il 18 novembre dello stesso anno). E la letteratura, le storie, lo scrivere possono rappresentare un nuovo ubi consistam, un luogo su cui contare per imbastire una vita nuova? Pare di no, ed è un nuovo personaggio a farlo emergere: “la donna col basco” che ogni giorno è seduta in disparte all’ufficio postale, non per fruire del servizio ma per scrivere, scrivere indefessamente non si sa che cosa. Ma non è una scrittrice, assicura a Nazareni quando finalmente un giorno si parlano, perché – su questo si trovano d’accordo – gli scrittori “sono dei mentitori”, “sono loschi individui che mentono agli altri per professione e a sé stessi per inclinazione”. No, lei è solo “una persona che di tanto in tanto ospita dentro di sé una storia” e – ecco forse, in chiusura, un’ancora di salvezza gettata allo scrivere – “non si può non raccontare una storia che chiede di essere raccontata (…). Soprattutto se è la propria”. Anche se si credeva di averci rinunciato e si era fatto tutto il possibile per essere nessuno…
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.