Roberto Calasso, Memè Scianca, Adelphi 2021 (pp. 96, euro 12)
La scomparsa dell’autore, contemporanea all’uscita del suo libro, ne complica la lettura, soprattutto quando si tratta di uno scritto autobiografico: la tentazione di scorgere segni premonitori del carattere e dell’opera del protagonista nelle sue reazioni ai fatti vissuti e nelle sue prime esperienze è incoraggiata dalla certezza che nessuna ulteriore notizia da parte di chi ha scritto, nessuna possibile messa a punto di quanto riferito potrà modificare ciò che leggiamo. Anche perché la fase della vita che si è inteso raccontare era, in questo caso, già circoscritta da una constatazione definitiva: “Una lastra impenetrabile e trasparente separa ciò che ho vissuto a Firenze sino alla fine del 1954 da tutto il resto. Per quanto remoto, quel resto, che ha inizio con Roma, fa già parte di oggi”. E ha dunque semmai lasciato tracce e seminato risonanze in altri generi di scritti. Quei primi dodici tredici anni di vita, invece, hanno tardivamente chiesto di essere evocati passando di ricordo in ricordo in ragione della significatività dei ricordi stessi, del loro carattere in qualche modo iniziatico, il quale, in fondo, ne spiega la persistenza: un “glicine fiorito è il primo colore” che si offre alla pura contemplazione – “Lo guardavo soltanto” – ; una barriera fitta di alberi oltre il confine del giardino in cui si trova è “la prima apparizione dell’āraņya vedico, la foresta dei saperi segreti”; la predilezione per il sentir raccontare storie si manifesta inequivocabilmente di fronte alle rappresentazioni di un burattinaio; il fascino ineguagliabile che può ispirare la figura dello scrittore si fa esperienza nel racconto di un amico conquistato dalla lettura di Proust, che rappresenterà una precoce indimenticabile esperienza anche per un Calasso tredicenne.
Insieme a esperienze che sembrano prefigurare il futuro intellettuale, arrivano quelle, in ambito più strettamente culturale, che attengono senz’altro alla sua formazione: dall’esempio del lavoro padre, giurista, saggista, gli viene l’“idea di uno scritto che nasce da un altro scritto, lo rielabora, gli aggiunge qualcosa che prima non c’era”: “Mi sembrava qualcosa da seguire”.
Mentre la scrittura si fa orizzonte possibile la lettura ha preso insensibilmente il posto dei giochi: “È una conquista graduale la possibilità di immergersi in un libro con la stessa intensità che si sperimenta nel gioco”. Graduale ma soggetta anche ad accelerazioni improvvise: la lettura di Cime tempestose è stata “una di quelle rivelazioni che nessun gioco mi avrebbe mai concesso. Il libro della Brontë apriva la via verso una regione ignota e favolosa”.
La regione nella quale Calasso avrebbe vissuto il resto della vita.
Una vita che interseca ovviamente la storia della famiglia e quella del nostro paese: dalla guerra – il polverio che sale dalle macerie di Firenze, e l’odore dei detriti, “avvolgono ogni mio ricordo” – all’assassinio di Giovanni Gentile, a seguito del quale il padre rischiò di divenire vittima della rappresaglia fascista, sino alla conoscenza diretta dell’azionismo, nelle cui file uno zio militava – “un partito fatto soltanto di intellettuali”, “per questa sua natura destinato a durare poco. Ma (…) capace di imprimere alla vita politica italiana del dopoguerra un certo tono – e non molto di più. Ma non è poco”.
Note che avremmo voluto più nutrite, e dettagliate, ma che probabilmente non potevano che conformarsi alla misura nella quale l’autore le ha volute racchiudere, e al tono che vi si sente prevalere: “La memoria è fatta in prevalenza di buchi, come un territorio crivellato di crateri vulcanici ormai inattivi. Qualsiasi tentativo di ristabilire un itinerario simile al tracciato di una strada su una mappa è vano e tende a sfigurare gli elementi che via via incorpora”. E del resto, “avanzando gli anni”, “ogni frammento che affiora potrebbe affiorare per un’ultima volta, prima di essere abbandonato a una totale inesistenza. E certamente chi scrive dubita di ogni parola che scrive. Sa che nessuno potrà confermarla”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.