Emanuele Trevi, I cani del nulla. Una storia vera, Einaudi 2021
La protagonista del romanzo – pubblicato la prima volta nel 2003 – la vediamo in copertina, fotografata dalla moglie dello scrittore, Martina. Le due danno vita con lui a un ménage à trois in cui, scrive Veronesi nell’introduzione, “Trevi è l’allievo; sua moglie è la compagna di banco; la loro cagnetta Gina, con le sue misteriose manifestazione di dio minore, è la maestra”. Alla quale sono riservati passi nei quali chi ha o ha avuto dimestichezza con un cane non può non riconoscere la propria esperienza: “Dormicchiava, la cagnetta; oppure, di quando in quando, ci guardava insonnolita dalle strette feritoie degli occhi semichiusi. Con un lievissimo movimento ad arco della coda, in quei crepuscoli fra sonno e veglia, confermava e testimoniava l’immenso, incrollabile, fanatico amore provato per noi: indiscutibilmente, i suoi padroni. (…) Concordi, io e mia moglie, la ignoravamo. Ma Gina non si scoraggia mai, non si offende mai”.
Un’altra figura aleggia su tutta la narrazione, fin dal titolo: quella di D’Annunzio, e del suo Vittoriale, dove “si respira un immondo effluvio di stupidità, fascismo, collezionismo”. Ma qui abbiamo a che fare con un D’Annunzio “molto vecchio e già un po’ svanito”, che scrive con il lapis una poesia sul risguardo del libro che sta leggendo “in una mattina già fredda di ottobre, nel 1935, seduto nel suo ridicolo giardino monumentale”. Ed è una figura tratteggiata senza remore quella del Vate, “il rappresentante e la vera, unica guida morale di un popolo criminaloide, millantatore, già pronto, a quei tempi (…) per la tv”. Anche se, tuttavia, “più che fascista, era scemo”, un uomo che “scopava un sacco (…) e in maniera molto fantasiosa”, ma che “ci sapeva fare, quando scriveva”, e “aveva una sua onestà elementare. Stava dietro alle cose che diceva”, capace come pochi di “arrivare a essere vecchi e capire veramente, senza mascherate, di non essere nulla, di non valere nulla”. Come appunto dice nella poesia dedicata ai cani che ha avuto, lui, “uom da nulla” che ha “la certezza solitaria del suo svanire”.
La poesia, “ritrovata solo qualche anno fa, mentre rimettevano a posto le carte del Vittoriale”, è il filo che tiene insieme, in una divagazione che si fa via via più marcata, resoconti di vita coniugale e descrizioni del mare di cose, di merci, che riempiono le nostre case; osservazioni partecipi del modo di Gina di stare al mondo, che umanizzano l’animale senza cancellare il sentimento dell’alterità che non cessa di frapporsi; richiami a sensazioni provate, esperienze rimaste nella memoria, letture che hanno lasciato il segno. La voce di questo scrittore – si legge in una recensione recente (N.H. Cosentino su “La lettura” dello scorso 18 luglio) è “lucida ma trasognata, drammatica ma consolante”. E, sempre, oscillante fra saggio e romanzo. In questo, pubblicato la prima volta nel 2003, come nei suoi libri più recenti, da Sogni e favole a Due vite, che gli è valso pochi mesi fa lo Strega (in queste note, rispettivamente, il 26 maggio 2019 e lo scorso 23 maggio). Anche in quelli ad emergere è lo “strenuo, solitario, e dunque eroico sforzo di capire cose – lo rileva ancora Veronesi – che l’autore ha sotto gli occhi tutto il giorno, laddove lo schema sociale gli chiede solamente di accumularle e amministrarle”. Avvicinarle invece, osservarle con occhi curiosi, a loro modo ingenui, ma sempre attraverso il filtro di un’ironia che non risparmia i luoghi comuni e il politicamente corretto.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.