François Jullien, La vera vita, Laterza 2021 (pp. 149, euro 18)
“La vita si restringe”, giorno dopo giorno, ma non è tutto qui: su di essa può a un certo punto gettare un’ombra il dubbio che non sia davvero vita. Anche se “tutti, chi più chi meno, facciamo in modo di andare avanti, come se non avessimo davvero provato questo dubbio”, senza tuttavia riuscire a dissipare una vaga, intermittente “nostalgia della vita nella vita”, la sensazione – del tutto fondata – che la vita non coincida con sé stessa, non si lasci “mordere, nella sua immediatezza presente”. Quello che non fa la vita cercano di farlo i romanzi, sforzandosi di “esplorare la vera vita”. La letteratura, non la filosofia che – in conseguenza dei “pregiudizi” affermatisi a partire dai Greci (dal privilegiamento dell’Essere rispetto al Divenire al principio di non contraddizione, fino a un mondo delle idee distinto da quello in cui viviamo) – “ha lasciato perdere il vivere” nella sua singolarità, nella ambiguità e nella contraddittorietà, nell’imprendibilità che lo costituiscono.
Attenzione però: la letteratura “descrive ma non costruisce”, “non dà ordini, non consente di fare delle scelte”, e il religioso, che prescrizioni ne dava, è da tempo in ritirata. Anche non lo fosse, comunque, gli si dovrebbe opporre che la vera vita non è una vita ideale, non è quella che verrà dopo questa che viviamo, ma è la vita che si sprigiona – se non vuole sprofondare o rifluire in una pseudo-vita – da una critica della “vita com’è”, da una presa di distanza che avviene qui e ora, nei giorni che ci è dato di vivere, nei modi in cui decidiamo di spenderli. E qui ritornano accenti e sottolineature che abbiamo letto in una altro libro di Jullien, Una seconda vita (ne abbiamo parlato qui): lo “scarto” che permette di “smarcarsi” dalla vita-non vita e di accedere a quella vera “si produce di fatto passo dopo passo, col passare dei giorni, dapprima senza che ce se ne renda conto, attraverso dissociazioni silenziose che divengono consapevoli solo via via che progrediscono” – e lo divengono tanto più quando l’età fa apparire la morte, la propria morte, come una prospettiva che non si può più in qualche modo rimuovere.
Non si tratta comunque della “scoperta” di una nuova verità, ma di uno “s-coprimento” nel senso che la vita si percepisce diversa rispetto a prima”, pur non avendo operato cesure e tanto meno aver conosciuto conversioni. Diversa e in qualche modo distante da quella che il vivere collettivo propone come ovvia, naturale. La società, “di cui siamo tutti corresponsabili”, infatti, “trova il suo equilibrio nelle apparenze”, nei consumi, “nell’alienazione collettiva” che i media gestiscono: “siamo collettivamente d’accordo a far finta di credere nella pseudo-vita”, e se divergiamo da questa tacita intesa lo facciamo solo episodicamente e spesso allo scopo di procurarci “divertimento o sfogo”, cercando di “intensificare” la nostra vita, restando comunque entro il limiti di “una normalità e una moralità mediatica e da branco, che corrompe la vita dall’interno”, rendendola falsa, non nostra davvero. È per questo che “la vera vita si afferma e si attualizza, si possibilizza resistendo alla non vita”. Ma anche alla tentazione di trovare la soluzione in una “vita che diviene valore”, che cerca di farsi “vita autentica” in quanto tesa a perseguire “il bene dentro e fuori di sé” (parole non di Jullien, queste, ma di Vito Mancuso nel suo La vita autentica, che Cortina ha da poco ripubblicato, e che è interessante leggere in parallelo e, nella sostanza, in contrasto con il libro di cui si sta parlando).
La vita vera è senz’altro una vita sempre impegnata nella ricerca, non di un assoluto però, né di un risultato buono una volta per tutte: è nell’“affioramento” dalla “trama consueta della vita” che la vita vera si lascia “intra-vedere”, mai “possedere”. È una dimensione che scarta rispetto alla cronaca spicciola, alla routine, alla rassegnata quanto superficiale constatazione che “così è la vita”; è una dimensione altra, inedita, pur manifestandosi nell’ordinarietà dei giorni che viviamo (concetti, questi, e suggestioni che troviamo e possiamo ulteriormente sondare in L’apparizione dell’altro. Lo scarto e l’incontro e in L’inaudito. All’inizio della vita vera, entrambi pubblicati da Feltrinelli, il primo lo scorso anno e il secondo quasi contemporaneamente a La vita vera).
Ancora una volta, in conclusione, Jullien si pone a distanza critica dai libri riconducibili al dilagante “mercato della felicità” così come da quelli che “(strizzano) l’occhio alle sapienze orientali”, pur essendo il riferimento all’antico pensiero cinese una costante del suo pensiero: “la vita vera non subisce mai la forzatura a cui obbligano tutti i canoni e le regole di vita (…) Il suo sforzo non è di imitazione né di adeguamento, ma di rifiuto e resistenza”. Lungi da un ripiegamento su un sé deluso o sdegnato del mondo, dunque, quello di Jullien è (anche) un discorso politico: “Il concetto di vera vita consente di integrare l’analisi socio-economica con quella esistenziale, senza per questo cancellare il dislivello che le separa – passando da un piano più intimo a uno più oggettivo e collettivo”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.