Roberto Livi, Solo una canzone, Marcos y Marcos 2021 (pp. 240, euro 18)
“Ero così abituato al mio comportamento da brava persona, che arrivato a un certo punto della vita ho cominciato a pensare di essere davvero una brava persona”, recitava l’incipit del precedente romanzo di Roberto Livi (La terra si muove, Marcos y Marcos 2017), e anche il protagonista di questo è un uomo che fatica a scovare una propria identità. Aspirante cantautore, gestisce un ristorante nel quale la cuoca non ha che da scongelare i cibi surgelati che si servono, guarniti di “qualche foglia di insalata o spicchio di pomodoro, o qualsiasi altra cosa che (li) faccia somigliare a un piatto tradizionale”, e lui deve servire ai tavoli, sia pure controvoglia: “una cosa che non sopporto del mio mestiere – sono le prime parole del romanzo – sono quei clienti che parlano senza guardarmi negli occhi (…) Forse non si rendono conto di quant’è brutto non essere, anche per me che sono un cameriere”, proprio per questo tenuto a “non esserci” per non disturbare i clienti con la sua presenza. Rischio che non corrono gli altri due, rintanati sempre in cucina: la cuoca Gianna, con i suoi ottanta chili messi su dopo esser rimasta sola (“Lei è convinta che suo marito l’abbia lasciata per via del grasso, ma pare che il grasso sia venuto dopo”), e il fedele quanto malandato Silverio, tuttofare che non sa stare lontano dalla “Luna nel pozzo”, questo il nome del ristorante. Sullo sfondo, ma sempre vivo nella memoria del protagonista, il padre, ex camionista innamorato del sassofono, che aveva avviato il locale organizzandoci una sala da ballo. Ma erano altri tempi.
Quel che ne è rimasto è solo la passione per la musica: comporre una canzone, almeno una. È il sogno del ristoratore-cameriere, tormentato da una moglie acculturata e nevrotica, ma che in un’altra donna (nella donna di un altro, per essere precisi) scopre la propria musa, per la quale riuscirà finalmente, in circostanze su cui non è il caso di soffermarsi, a mettere insieme qualche strofa. È così che la storia procede e si conclude, tra flashback sulla propria infanzia e prima giovinezza e digressioni che strappano il sorriso (“I due più grandi melodisti della storia sono stati Mozart e Battisti (…) Purtroppo nessuno dei due ci ha lasciato detto o scritto qualcosa sul (loro) metodo, quindi noi ci dobbiamo arrangiare come faceva Beethoven, cioè dobbiamo andare per tentativi”.
Roberto Livi, pesarese, può essere ricondotto agli autori del filone padano-emiliano che raggruppa Cornia, Nori, Benati (ne abbiamo parlato qui), scrittori accomunati dalla scelta di star vicini al parlato quotidiano, coi suoi dialettismi e regionalismi, con le sue costruzioni sintattiche approssimative, le ripetizioni e le riprese come regola. Uno stile, una lingua, capaci di un’immediatezza che è impossibile scambiare per trascuratezza. Frutto evidente, piuttosto, di una ricerca e di una cura senza le quali l’impressione di semplicità che comunicano non si darebbe.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.