Patrick Modiano, Inchiostro simpatico, Einaudi 2021 (pp. 108, euro 16)
Le istruzioni del titolare dell’agenzia di investigazioni sono povere, scarne anche le note contenute nella scheda attinente alla donna scomparsa: il ventenne incaricato della ricerca si mette all’opera, ma pochi mesi dopo lascia l’agenzia, portando però con sé, senza una ragione precisa, il documento. L’indagine si insabbia ma, carsicamente, torna ad affiorare riconquistando il desiderio di sapere del protagonista. Il quale, tra episodi disseminati nel racconto e personaggi che compaiono per poi sparire e successivamente essere ripescati, la troverà, quella Noëlle Lefebvre, sulle cui tracce si è mosso fin dall’inizio. Il tutto, però, complicato dall’andirivieni della memoria, dalle sue doppiezze, dai sui sottofondi enigmatici: Modiano lo si riconosce da questa attenzione all’“arte della memoria”, che gli è valsa il Nobel pochi anni fa, un’arte “con la quale – recitava la motivazione del premio – ha evocato il destino umano più inafferrabile”. Come quello di Noëlle, appunto, ma non solo: la traiettoria dell’uomo che le dà la caccia non è meno sfuggente.
Detective senza committente, ciò che l’ha subito attirato nel profilo della scomparsa sono gli “spazi bianchi” che costellano la sua vita stimolanti per uno come lui, cui era “sempre piaciuto introdur(si) nelle vite degli altri, per curiosità e anche per il bisogno di capirle meglio e districare i fili ingarbugliati delle loro esistenze – cosa che spesso non erano in grado di fare da soli perché vivevano la loro vita da troppo vicino, mentre io avevo il vantaggio di essere un semplice spettatore”. E qui sembra di cogliere, a chi legge, un segnale inequivocabile: la figura dell’investigatore lascia intravedere quella dello scrittore, il che si ripete nelle pagine successive, in cui i due profili si alternano come la silhouette del vaso si sostituisce a quella dei due visi – per poi riproporsi, oscurando quelli – nel gioco di figura e sfondo che la psicologia della Gestalt ci ha reso familiare.
O come un testo prima invisibile, perché scritto in inchiostro simpatico, si rende leggibile se accostato alla fiamma di una candela. L’autore stesso, del resto, sia pure con il tono di chi butta lì un’osservazione del tutto secondaria, ci ha informato già nelle prime pagine: “Avevo pensato che quel lavoro provvisorio potesse fornirmi una documentazione da cui trarre ispirazione più tardi se mi fossi dedicato alla letteratura”. Ed è proprio quello che farà: il racconto della ricerca, abbandonata e ripresa, lascia spazio a un sommario, intermittente, diario della scrittura di quel racconto, a trent’anni di distanza dai fatti. Ma questi due piani di lettura non sono i due unici possibili: il terzo è quello che, puntualmente, rimanda dal personaggio, detective o scrittore che sia, alla figura emblematica di chi scrive, e ha bisogno sì di personaggi e avvenimenti tratti dalla vita reale, purché anche la sua immaginazione abbia agio di colmare i vuoti che nessun testimone può colmare, e tanto meno Internet con la sua marea di informazioni, grazie a dio (“Meglio così. Altrimenti non ci sarebbe più motivo si scrivere un libro. basterebbe ricopiare le frasi che compaiono sullo schermo, senza fare nessuno sforzo di immaginazione”). L’immaginazione, dunque, ma insieme la memoria. Non la cronologia, ma la memoria che lascia che “i ricordi affluisc(a)no attraverso la penna” e “un particolare che hai sepolto”, torn(i) in superficie”. Echi proustiani risuonano qua e là e si fanno a volte del tutto distinguibili: “Avevo lasciato l’agenzia Hitte da appena due anni, credo. All’improvviso, un pomeriggio, comminando sul marciapiede, ho provato un turbamento, come se fossi bruscamente trascinato indietro nel tempo, o meglio come se quei due anni fossero stati cancellati. E di nuovo avevo la sensazione di portare avanti la mia ricerca”.
Una volta intravisto, il gioco che l’autore ha discretamente messo in scena ci segue per il resto del romanzo: l’investigatore scrive, lo scrittore investiga; la memoria alimenta la scrittura, la scrittura mette in moto la memoria; scrivere e vivere, la vita di scrive e quella di chi è oggetto della narrazione perdono i propri confini: “forse alla fine tutto questo – la ricerca e, insieme, il suo resoconto – mi permetterà di conoscere meglio me stesso”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.