“L’abilità umana di adattarsi ai cambiamenti drammatici è tanto motivante quanto deprimente. Chi avrebbe pensato, un paio di anni fa, che non avremmo battuto un ciglio, che non avremmo pianto vedendo scuole piene di bambini che indossano mascherine? O che avremmo considerato normale un bus pieno di gente che fissa rettangoli di vetro nel palmo, invece di interagire in quello che consideravamo il ‘mondo reale’? (…) non sapevamo tutti che sarebbe successo? Non ce lo aspettavamo da anni? Non siamo quel tipo di persone che accettano una scienza incontrovertibile? Davvero è possibile che questa situazione ci vada bene? Non è chiaro ormai che, consapevolmente o meno, stiamo scegliendo il cambiamento climatico?
Sì, lo sapevamo. Ma non ci abbiamo creduto. Lo sappiamo. Ma non ci crediamo. Ciò che risiede nella nostra testa a quanto pare non è in grado di migrare nel nostro cuore. Sono troppi gli incentivi a dubitare. Abbiamo troppa paura. Le proporzioni della catastrofe sono troppo grandi per afferrarle. Per quanto mi riguarda, (…) io ancora non ci credo. Sta diventando evidente che non sono capace di crederci. Se ci credessi, non ne scriverei con un tono così misurato; la reazione appropriata a una catastrofe globale è l’isteria, o almeno l’allarme. Se ci credessi, avrei incluso una quarta opzione più sopra: dedicare la mia vita a fare tutto quanto è in mio potere per essere parte della soluzione. Invece sto imparando ad abituarmi alle perdite”.