“La nostra civiltà che si razionalizza, in apparenza, sempre di più, si meccanizza quindi sempre di più, è tutta un enorme neoplasma, come un neoplasma al cervello che prima di distruggere completamente i centri, li comprime, li deforma, li annulla. Così il massimo della razionalizzazione coincide con l’atrofia di quello che fa uomo l’uomo, in primo luogo la contemplazione, l’ozio nel senso antico e non dispregiativo: vedere e mirare. Vedere e recuperare, mirando, il tempo remoto e quello nuovo, ricomporre il proprio essere avulso e sminuzzato dalle ore quotidiane, dal fracasso tecnologico. Né vale solo la campagna o la montagna o il mare per questo. La città, che è l’espressione stessa dell’uomo in quanto vive con l’uomo e fa civiltà e crea cultura, la città deve anche poter sospendere l’uomo dal suo flusso ininterrotto di affanni e di lavori forzati”.