“Nella storia della distruzione è un particolare tra centinaia di particolari; nell’affresco spaventoso di una guerra è l’angolo in basso della tela. Da lì sbuca un muso di cane, e ci guarda: con quello sgomento muto che a volte c’è solo negli occhi dei cani. Il cane piccolo e atterrito – però vivo – ritrovato in un’auto con i finestrini distrutti. Il grosso cane dal pelo chiaro che accompagna una famiglia in viaggio verso il confine. E quello che sosta per ore in una stazione, confuso alla folla degli umani, accucciati come lui al freddo. Il randagio che percorre le strade di città sventrate, affamato. L’ospite di un canile abbandonato, che guaisce e sussulta per il rumore dei bombardamenti. (…) Il cane rimasto ucciso insieme alla sua famiglia umana – freddata alle spalle mentre era in fuga.
C’è una fotografia, terribile, che lo inquadra esanime, nel trasportino inutilmente aperto. (…) Così, mi trovo a fissare – fra le ipnotiche e violente e insostenibili fotografie di questi giorni – quelle che ritraggono gli animali domestici ridotti a profughi tra i profughi. C’è anche qualche gatto che sbuca da una borsa, da una coperta. È un dettaglio, è l’angolo in basso della tela, ma dice di una innocenza non umana che l’umanità mortifica, di una sofferenza senza riscatto, quasi incosciente, preverbale, simile a quella dei neonati umani. Osservo questa folla di sfrattati dalla geografia e forse anche dalla storia, e mi è impossibile dire chi protegga chi, fra uomini e cani, nella bufera di questo inverno ucraino. E penso a qualcuno che nelle notti angosciose affonda il viso nel pelo del suo cane, e ne coglie il respiro con la guancia, come un miracolo”.