Irvin D. Yalom, Marilyn Yalom, Una questione di morte e di vita, Neri Pozza 2022 (pp. 208, euro 18)
“Compagni di scrittura” per un’intera vita, “nonostante quattro figli” e i vari incarichi che l’insegnamento e la professione hanno comportato: il libro è scritto a quattro mani, anche se Marilyn non c’è più. Ma prima di morire aveva proposto al marito di scrivere un nuovo libro, “un libro che dovremmo scrivere insieme”. Questo, appunto, che racconta “i giorni e i mesi” della malattia finale, e insieme la vicenda di “una coppia molto fortunata”, unita fin nel percorrere “il sentiero che infine conduce alla morte” – entrambi sono ormai vicini a novant’anni – sulla scorta di un convincimento espresso da Irvin nella sua Psicoterapia esistenziale: che “è più facile affrontare la morte se si hanno pochi rimpianti per la vita che si è vissuta”. Più facile, non risolutivo. La domanda di fondo resta: “Come possiamo vivere dando un senso ai nostri giorni fino alla fine?”
Una risposta, provvisoria, parziale, è proprio questo “diario”: “Scriviamo per dare un senso alla nostra esistenza. (…) Questo libro ha l’obiettivo, innanzitutto, di aiutarci a navigare verso la fine della vita”, perché “pur avendo dei vantaggi dal punto di vista medico e sociale, non siamo immuni dal dolore e dalla paura della morte imminente”. Anzi, confessa Irvin, autore di scritti sulla “tanatofobia”, “ho sempre lottato contro la paura di morire” ed è stata proprio questa a stimolare l’attività di ricerca.
Sono frequenti, in queste pagine, i rimandi alla filosofia antica, a Seneca per esempio: “un uomo non può essere preparato alla morte se ha appena iniziato a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver già vissuto abbastanza”. E in questa scia Nietzsche. “Tutto ciò che divenne perfetto e maturo vuol morire! (…) Ma tutto ciò che è immaturo vuol vivere, ahimè”.
Dunque, una società che ritarda, se non ostacola addirittura, il raggiungimento di una vera maturità, condanna i suoi membri a una paura insanabile della morte? verrebbe da chiedersi. Ma non sono domande simili a interessare agli autori. Il loro è il racconto di ciò che accade giorno per giorno a chi sente di essere vicino alla fine. E vive, tuttavia. Continua a vivere.
Una situazione molto comune, che inevitabilmente tocca la maggior parte di una popolazione sempre di più assistita da una medicina che dilaziona la morte.
Una situazione di cui poco si parla. Di cui poco appare conveniente parlare. Con il risultato di ritrovarsi, quando arriva il momento di farci davvero i conti, indifesi e soli. È proprio per prevenire questa condizione che i coniugi Yalom, raccontando di sé, contano di mettere a disposizione di altri non tanto strumenti validi sempre e per tutti, ma i passi che hanno segnato la loro esperienza conclusiva, le risposte che hanno cercato di dare a domande prima o poi ineludibili.
Che cosa resta di sé, quando non si è più? La capacità di “increspare la vita di coloro che ci hanno conosciuto personalmente o attraverso i nostri scritti”.
Come vivere senza rimuovere la realtà della propria finitudine? Persuadendosi – il che non avviene mai una volta per tutte, ma richiede un esercizio costante – che “nulla è permanente, tutto è inconsistente”.
Il doppio binario della ricapitolazione dei momenti salienti della vicenda vissuta e della riflessione esistenziale percorre l’intero libro, testimonianza di come persino chi contava di aver trovato soluzioni valide all’umana paura della morte, persino l’autore di un libro come Fissando il sole (Neri Pozza 2017) che appunto su questo sforzo si concentrava, deve riprendere daccapo, quando il momento si avvicina, il lavoro di quel lutto inelaborabile che ha per oggetto non la morte di un altro, sia pure della persona cui più si è stati e si è legati, ma la propria.
“Mi sento come se tutto stesse svanendo”, confessa Irvin, mentre sente la moglie, ormai agli ultimi giorni, stabilire insieme alla figlia a chi andranno le sue cose, una ad una: “La morte sta divorando tutta la vita, tutta la memoria”. La resa al dolore sembra inevitabile, in questo e in altri momenti. Eppure “sono di nuovo davanti al computer a scrivere queste parole. Come se questo potesse impedire al tempo di andare avanti. D’altronde, l’intero progetto del libro non ha forse lo stesso scopo? Sto cercando di congelare il tempo dipingendo la scena presente e, si spera, trasportandola un po’ più in là, nel futuro. È tutta un’illusione. Ma un’illusione rincuorante”. Anche se “il nostro progetto di scrittura”, “ora è diventato il mio progetto di scrittura”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.