“Per anni la metafora della liquidità – proposta da Zygmunt Bauman (…) – ha marcato il nostro tempo. (…) Oggi, tuttavia, anche questa geniale metafora comincia a mostrare i segni del tempo (…) perché incapace di dar conto di un ulteriore passaggio, che sembra spingerci del tutto fuori dalla modernità (…) anche da quella fluida e in trasformazione perenne. Il processo che dal solido portava al liquido, sostituendo la velocità del tempo alla lentezza dello spazio, pare essersi invertito. Non appena la globalizzazione ha registrato i primi insuccessi [già precedentemente alla pandemia], generando più problemi di quanti sembrava risolvere, la spazialità torna a rivendicare i propri diritti. Gli Stati sovrani dichiarati anzi tempo rialzano la testa, mentre la geopolitica ridisegna vecchie e nuove zone di influenza.
(…) I confini che sembravano dissolti riprendono a suddividere quanto si era immaginato di unire. Non solo, ma fuori da ogni metafora liquida, si solidificano in muri di cemento, in barriere di filo spinato, in blocchi stradali. Un mondo terribilmente solido, striato da frontiere materiali, subentra a quello, liscio, promesso dai teorici dell’età globale. (…) Quella in cui ci stiamo addentrando non è né una vecchia modernità né un nuovo medioevo. (…) dobbiamo prepararci a qualcosa che non avevamo mai immaginato nel secolo scorso. E cioè che siamo di fronte a una svolta di civiltà. Nella quale altre forse, altri gruppi di uomini, altri continenti reclamano più che protezione, riconoscimento, risorse. Essi chiedono di aprire una nuova epoca storica in cui, prima dei nostri comportamenti, dovremo mutare il nostro linguaggio concettuale per rispondere a domande finora inattese”.