Racconti del pianeta Terra, a cura di Niccolò Scaffai, Einaudi 2022 (pp. 318, euro 21)
Ormai è una constatazione assodata e diffusa (non a caso ricorrente anche in queste note, delle quali converrà perciò richiamare solo quelle essenziali): sappiamo molto, sempre di più, degli effetti della crisi ambientale, del riscaldamento climatico in particolare, ma continuiamo a comportarci come se non sapessimo. O meglio, “Sappiamo che stiamo scegliendo la nostra stessa fine: solo che non riusciamo a crederci”, scrive Safran Foer (in queste note nel dicembre 2019), per cui si può ben dire che “ È enorme la cosa che sta accadendo, ma lo è anche ciò che non sta accadendo”, come fa Carla Benedetti (in queste note nel giugno 2021).
Non si tratta di rimproverarci, di colpevolizzarci per la nostra ignavia. La faccenda è più complessa: è il nostro modo di pensare, sedimentato in secoli di evoluzione culturale, a ostacolare una presa di coscienza che si traduca in scelte concrete, in pratiche efficaci, ce l’ha spiegato bene Amitav Ghosh (ne abbiamo parlato qui): si tratta di “una grande cecità” (come recita il titolo del suo libro), lentamente sedimentata, che volenti o nolenti ci coinvolge, a partire dal nostro immaginario.
E allora? Allora – altra convinzione ormai consolidata – occorre che oltre alla sfera della conoscenza sia coinvolta quella delle emozioni, quella che la letteratura assai più della saggistica sa raggiungere. L’unica via è “accendere l’immaginazione”, sostiene ancora Benedetti: “lavorare anche sul sentimento”. E dunque, appunto, puntare sulla letteratura, una letteratura che sappia però rinunciare sia a velleità consolatorie che a narrazioni catastrofiste incapaci di farci capire che questo disastro si annuncia a piccoli passi, e dunque “Tra le possibilità che la letteratura ha oggi c’è proprio quella di ricordarci come tutto è cominciato. Qui. Ora.”. Sono di Niccolò Scaffai queste ultime parole, tratte dal suo Letteratura e ecologia (Carocci 2017), il cui discorso ha in certo modo ripreso curando questa raccolta di racconti, in primo luogo scegliendoli e ponendoli in una sequenza ragionata, e poi raggruppandoli in sottoinsiemi preceduti da brevi, incisive note di prefazione.
“Il primo obiettivo di quest’antologia – avverte preliminarmente – è quello di illustrare le origini, le forme e i temi” del grande racconto del pianeta Terra, “attraverso una serie di testi che narrano l’Antropocene da diverse prospettive”. Al primo posto, quelli scritti prima che si diffondesse una coscienza ecologica ma che hanno saputo in alcuni casi porsi “come modelli per le rappresentazioni ecologiche contemporanee”; seguono i racconti che si concentrano sulla relazione tra umano e animale, nelle diverse sue declinazioni, non esclusa quella che prospetta l’assottigliarsi della barriera fra gli uomini e le altre creature; è poi la volta della “fantascienza ecologico-distopica”, a torto ritenuta una genere minore – come notava già Ghosh – in quanto l’operazione che essa compie è molto spesso quella di proiettare “nel futuro i sentimenti apocalittici e le preoccupazioni del presente”, e infine, abbandonando il terreno della narrativa, la riproposizione delle tesi dello stesso Amitav Ghosh, insieme a quelle di Zadie Smith, Margaret Atwood e Jonathan Franzen (già illustrate in queste note nel dicembre del 2020).
È ovviamente impossibile ripercorrere il tracciato che i racconti selezionati propongono, tanto più perché esso spazia dalla “tarda epoca moderna”, ossia dall’insuperata favola antiantropocentrica di Leopardi (il Dialogo in un Folletto e di uno Gnomo), a scrittori, anche poco conosciuti, della nostra contemporaneità, capaci di “cogliere e mostrarci anche gli aspetti profondi e ambigui”, o addirittura stranianti, della realtà. “Del resto – osserva Scaffai – lo straniamento ha un legame quasi necessario con la dimensione ecologica, anzi, ne è all’origine”, essendo ad essa inevitabilmente connessa la caduta della “fede nell’esistenza di un unico mondo, in cui sarebbero inseriti tutti gli esseri viventi”, e quindi il venir meno di un pregiudizio millenario che può ad esempio tradursi in racconti nei quali il punto di vista è quello di altre specie, che siano i ghiri di Rigoni Stern o quella sorta di Qfwfq calviniano che ritroviamo nel racconto di Martin Amis, o addirittura la creatura post-animale collocata in un mondo successivo all’apocalisse da Antoine Volodine.
Credere che ormai i giochi siano fatti o pensare invece che le possibilità non siano chiuse? Aderire al realistico, per nulla nichilistico nonostante le premesse, appello di Franzen a “smettere di fingere” o alla posizione di Atwood, diversa, qui, da quella da lei prospettata nei suoi romanzi distopici, o a quella di Zadie Smith, che sommessamente fa presente l’opportunità di “spostare il pensiero dell’elegiaco cos’abbiamo fatto? al più pragmtaico cosa possiamo fare?”
In ogni caso, secondo Scaffai, anche in questo accostabile a Ghosh, occorre aver presente che “l’immaginazione non può offrire soluzioni tecniche alla crisi – non è questo il compito della letteratura – ma può condurci al termine della notte globale, per cercare risposte a domande come questa: cosa faremmo se ci accorgessimo che una montagna di ghiaccio alla deriva – come quella che compare in copertina – sta per travolgerci?”. Che è come dire, uscendo dalla metafora e recuperando il fondamentale quesito di Leopardi: “come abitare la natura in un mondo snaturato” (ammesso che ne siamo ancora in tempo)?
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.