Helen Macdonald, Voli vespertini e altri saggi su ciò che la natura ci insegna, Einaudi 2022 (pp. 302, euro 20)
“Ogni scrittore ha un tema”: “a me piace pensare che il mio tema sia l’amore, e più precisamente l’amore per il luccicante mondo della vita non umana che ci circonda”. È per dar voce a questo amore che Macdonald da storica della scienza diventa scrittrice, senza comunque rinnegare il suo passato: “La scienza fa qualcosa che sarebbe bello facesse anche la letteratura: dimostrarci che viviamo in un mondo eccezionalmente complesso di cui non siamo il fulcro”. Ma è solo la letteratura a farci vivere non come un motivo di frustrazione ma come fonte di arricchimento e comprensione, di noi stessi in primo luogo, l’incontro con la pluralità dei viventi.
L’incontro, l’avvicinamento. È questo il tema vero di testi che sanno incrociare gli scopi del saggio con l’andamento del racconto: l’avvicinamento a esseri che vicini già ci sono e pure si mantengono – e dobbiamo considerare – in una posizione di alterità incolmabile, di diversità radicale.
Conoscerne i nomi, le classificazioni, è uno dei tramiti di questo avvicinamento: “ogni volta che impari a riconoscere una nuova specie animale o vegetale il mondo diventa un posto più straordinario e complesso, ma l’interpretazione che la scienza offre “è ben lungi dal costituire una finestra cristallina sulla natura: occorre prima imparare a leggerla a fronte del disordine della realtà”. La scienza non “sottrae bellezza e mistero al mondo”, ma viene il momento in cui si intuisce che “il mistero non riguarda un particolare tipo di mammifero quanto gli animali in generale, e ciò può significare il fatto di non volerne sapere di più”, per conservare la capacità di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere dalla comparsa improvvisa di un animale sul proprio cammino, di non compromettere “la capacità del mondo naturale di sorprendermi e sbaragliare ogni aspettativa”. Ecco allora il racconto di occasioni nelle quali questo confronto a tu per tu con l’animale è avvenuto, per l’autrice stessa – che in laboratorio avverte i segni con i quali un pulcino ancora nel guscio risponde alle sue sollecitazioni, o nel bosco incontra i daini – o per altri, come nel caso del bambino autistico che riesce a instaurare un rapporto con il pappagallo che fa compagnia alla scrittrice nel suo studio. L’avvicinamento, infatti, non sempre richiede di lasciare i luoghi abitati e pesantemente trasformati dagli uomini. Non è vero che “la città sia l’esatto opposto della natura”: le terrazze dei grattacieli sono un luogo ideale per osservare gli uccelli migratori e i falchi possono nidificare fra le rovine industriali, senza dire degli stormi di storni che sorvolano le nostre città e ci insegnano come esista un’“affinità nell’alterità” tra le loro formazioni e le folle umane, le una e le altre fatte di “singoli individui e di piccoli gruppi familiari a caccia delle cose più semplici; libertà dalla paura, cibo, un luogo dove dormire tranquilli”. Sono, come questa, molte altre le pagine in cui – con i suoi racconti, e le digressioni scientifiche, che pure non mancano – il lettore è portato a riflettere sul fatto che “Gli animali non sono umani, e tuttavia ci assomigliano quel tanto che basta per trasmetterci una strana ma intensa sensazione di affinità e parentela”, anche se abbiamo “circoscritto i significati degli animali in modo talmente drastico che non possono più arrivare a toccarci”, diversamente da quanto avveniva pochi secoli fa, all’inizio dell’età moderna, al tempo dell’“ultima, emblematica fioritura di una storia naturale in cui gli animali erano qualcosa di più di semplici creature e ogni specie vivente occupava il centro di una ricca trama di associazioni, che collegava tutto quanto se ne sapeva a tutto ciò che la specie significava per noi; sul piano allegorico, scritturale, proverbiale, personale”. Un ritorno, questo, o meglio, una ripresa tanto più auspicabile in tempi dominati dal cambiamento climatico, in cui alla crescente distanza culturale dai viventi non umani si è aggiunta la minaccia di inedite proporzioni che grava sulla possibilità stessa della loro esistenza. La scomparsa di intere specie segna una perdita ancor più grande di quella che si evidenzia negli allarmi dettati dal disastro ambientale: quella che si profila è la perdita di una “lezione” fondamentale”. “Gli animali non sono qui per insegnare le cose a noi, ma è quel che hanno sempre fatto comunque e la gran parte di quello che ci insegnano riguarda ciò che pensiamo di sapere di noi stessi. (…) Non è che gli animali debbano funzionare da modelli dei comportamenti umani (…) ma quanto più ho imparato su di loro – conclude Macdonald –, tanto più sono andata convincendomi che non esiste un solo modo giusto per esprimere attenzione e cura, per essere fedeli, per provare attaccamento verso un luogo o per muoversi nel mondo”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.