Il libro della memoria. Dimore, stanze, oggetti. Dove abitano i ricordi, a cura di Antonella Tarpino, il Saggiatore 2022 (pp. 317, euro 24)
Un’antologia di testi: la curatrice stessa tiene a far derivare questo libro dal suo precedente Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi 2008), nel quale, come il sottotitolo evidenziava, si metteva in luce la tendenza della memoria a “(rinarrare) il tempo attraverso lo spazio”, tendenza che la letteratura ha spesso praticato essendo “capace – come notava Zygmunt Bauman – di rendere la solidità e la liquidità, l’omogeneità e la pluralità, il liscio della continuità ma anche l’agro, il ruvido, il crocchiante che abitano le nostre esistenze”.
Ecco allora il senso di questo lavoro, che raccoglie il racconto dei luoghi della memoria via via proposti dalla grande letteratura, a partire dalla casa, già significativamente identificata come riferimento delle tecniche della memoria escogitate da Greci e Romani, poi rivisitate degli umanisti, e in seguito eletta a sede della memoria quotidiana, oggetto di un atteggiamento evocativo del passato ispirato dalla compassione dettata dal trascorrere del tempo e dalle conseguenze che ne derivano. Si tratta dei un atteggiamento presente soprattutto in epoca romantica, quando la casa diviene tappa di dolenti e tormentati percorsi introspettivi, che si tratti di un castello abbandonato (Chateaubriand), di una dimora dell’anima (da Rousseau a Stendhal) o di un luogo perturbante (Poe). È negli scrittori vittoriani (in Forster con la sua Casa Howard innanzitutto) che “si consuma una cesura radicale tra il ‘fuori’, segnato dagli accelerati processi sociali ed economici, tali da minacciare la stabilità e la convivenza, e il ‘dentro’ (…), eletto a sacrario laico della vita familiare borghese”, come risulta ancora nell’Henry James di Ritratto di signora. Ma tracce di questo modo di sentire sono rinvenibili anche nella psicanalisi, per la quale “la casa diviene figura dell’anima, in cui l’inconscio soggiorna e i ricordi sono immobili”.
La casa rimanda alle cose che vi sono raccolte: sono “gli oggetti, i frammenti del tempo che ci osservano nei luoghi domestici della nostra esperienza a fare da mediatori tra l’operazione di memoria nel presente e il tempo perduto del passato, come testimoniano Kafka e ancor più esplicitamente Borges e Neruda ma, più di tutti, Proust, per il quale “la casa con il suo corredo di oggetti è la dimora immaginaria (…) in cui il tempo diviene materia, colore, sapore e il ricordo entra nel presente, si capovolge e vive, manifestando la sua verità”.
Sarà non una madeleine ma una palla da baseball a “raccontare il tempo ritrovato” nel Don DeLillo di Underworld, in una società che ha perso ormai ogni parvenza di organicità ma nella quale il ricordo continua a mantenere un ruolo, a segnare in certo modo un guadagno, e non una perdita come invece nei racconti di paesi sommersi in seguito alla costruzione di dighe o ridotti – dalla guerra soprattutto – ad ammassi di rovine, prive ormai del monito morale che ne spirava un tempo ma ancora cariche dei significati enigmatici che Sebald ha a lungo indagato e che i borghi in rovina, soprattutto nel meridione italiano, possono ancora suggerire.
“La memoria – occorre riconoscere, in conclusione – è un sentimento volubile, [che] ci parla di noi ma non solo”.
Ma, possiamo aggiungere, la memoria ha bisogno di luoghi e di cose per mantenersi viva, tanto più in tempi dominati dal presentismo, che emargina e sostanzialmente disconosce il passato anche se, al tempo stesso, promuove “Giornate della memoria” o indulge, non di rado, a spettacolarizzare gli eventi trascorsi.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.