Wolfgang Sachs, Economia della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene, Castelvecchi 2023 (pp. 76, euro 12,50)
“La ‘rivoluzione dell’efficienza’ rimane cieca se non è accompagnata da una ‘rivoluzione della sufficienza’”: l’enunciazione generale si chiarisce se si pensa alle automobili di oggi, sempre più veloci, ed efficienti appunto, ma, anche, sempre più numerose, al punto che la rapidità degli spostamenti che potrebbero garantire è in gran parte contrastata dall’intralcio del traffico urbano, che rappresenta una quota pari all’80 per cento dell’uso complessivo che facciamo delle auto. Senza contare il nesso tra velocità e inquinamento. E allora: perché non costruire mezzi che non superano i cento chilometro orari? E invece no: si continuano a sfornare “velocimobili” costrette poi a non superare i 25 km/h, in una logica – si fa per dire – che somiglia a quella di chi si munisce di una motosega per tagliare il burro.
Ma c’è di più: oltre all’insensatezza e al danno ambientale, l’imperativo della velocità comporta anche la perdita del nostro rapporto con i luoghi, e la nostra stessa vita: “Sempre più velocemente – una volta usciti dalle città – si giunge in luoghi in cui si trascorre sempre meno tempo. L’accelerazione rende le persone indifferenti al qui e ora. È la nemica della presenza vissuta appieno”. Ma un muro si alza contro ogni critica: vedi le proteste contro la proposta dei 30 all’ora nelle vie cittadine o le previsioni di catastrofe per l’occupazione nell’industria automobilistica e nel suo indotto (l’automotive, come oggi si preferisce dire) di fronte all’idea di non rimandare a un futuro imprecisato il superamento del sistema basato sul motore a scoppio. IL fatto è che “la ‘competitività internazionale’ sta diventando per forza di cose la massima dominante alla quale devono sottomettersi tutti gli altri desideri, quali la solidarietà sociale, la qualità della vita civile o la natura incontaminata”.
Bastano le prime pagine per rendersi conto che l’orizzonte entro cui si muove Sachs coincide sostanzialmente con quello che Latouche ha da tempo delineato e recentemente ribadito in sintesi efficaci (come la Breve storia della decrescita segnalata in queste note nel marzo 2022): non è un caso che la prospettiva del primo, una “prosperità frugale”, echeggi anche nella formulazione quella del secondo, fautore di una “abbondanza” ugualmente “frugale”. C’è però da dire che leggendo questo libro si ha l’impressione di un’attenzione più mirata ai modi concreti nei quali si realizza – o si propone che continui a realizzarsi – la “crescita” e di una concretezza maggiore nell’esemplificare possibili mezzi di “resistenza”, come recita il sottotitolo. Il che non significa che Sachs possa essere interpretato come un Latouche più pragmatico, anzi: anche nell’autore tedesco compaiono riferimenti filosofici decisivi. La “semplicità” di vita, il godere di ciò che è sufficiente per vivere una vita pienamente umana, rimanda alla saggezza della filosofia antica, ancor oggi capace di offrire strumenti per contrastare lo sperpero consumistico e insieme la distrazione nella quale si consuma l’esistenza: affermare che esiste “un rapporto nascosto tra l’austerità e l’edonismo” significa rimandare esplicitamente all’epicureismo, anche a quello presente nel pensiero di Thoreau – a modo suo un asceta epicureo – secondo il quale “un uomo è ricco in proporzione alle cose che può permettersi di lasciar perdere”.
Lasciando alla lettura il dettaglio delle analisi e delle proposte, è bene comunque notare che l’autore non ne ricava la certezza di una vittoria sulle distorsioni dell’Antropocene, non si allinea alle posizioni di quanti vedono in nuove tecnologie la soluzione dei mali che la tecnologia stessa ha in gran parte alimentato, e tuttavia sostiene la possibilità di tecniche ecocompatibili e la necessità di far tesoro dei ritrovati a disposizione. Ma attenzione: senza “autolimitazione” (dei consumi e degli pseudodesideri che li sostengono in un mercato saturo quel è l’attuale) è del tutto velleitario far discorsi sull’ecocompatibilità e sulla qualità stessa della vita: “una minore efficienza economica [intesa soltanto come aumento della produttività] permette non solo di risparmiare risorse, ma anche di fare spazio a una vita migliore”. È la fede nel Progresso, un progresso lineare e illimitato, che occorre abbandonare, in definitiva. Non a parole, nei fatti. E dunque è arrivata l’ora di smettere di indirizzare le scelte a obiettivi che già oggi appaiono insostenibili. Un esempio calzante e quanto mai attuale: “Si cerca l’indipendenza dalla Russia e si creano nuove dipendenze”, come “il gasdotto dall’Algeria”, mentre l’idea di creare in Italia un hub energetico di livello europeo basato su una fonte non rinnovabile e inquinante significa perseverare in un errore che di fatto “apre la strada al caos climatico”.
Lo stesso capitalismo, giunge a concludere l’autore, “deve affrontare una prova particolare: solo se riuscirà a creare valore con quantità decrescenti di beni potrà sopravvivere al ventunesimo secolo”, passando da una logica di massimizzazione del profitto a quella della sua sufficienza. Ma Sachs – c’è da dire – non si addentra nel dibattito sulla (auto)riformabilità del sistema economico attuale né pare affrontare esplicitamente il progressivo scivolamento dell’economia verso la privatizzazione e la sempre più marcata coincidenza con forme finanziarie e tecnologiche fuori controllo, fenomeni su cui insistono invece analisi come quella condotta da Maria Rosaria Ferrarese nel suo Poteri nuovi (in queste note alla fine del novembre scorso).
Certo è che – come leggiamo nella citazione gandhiana che chiude il libro – “la Terra fornisce abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non l’avidità di ogni uomo”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.