La lettura, esistenza parallela dello scrittore

Domenico Starnone, L’umanità è un tirocinio, Einaudi 2023 (pp. 394, euro 18)

Se “umani si diventa” – e dunque “l’umanità è un tirocinio”, cui “non poco concorre la letteratura” –, la vecchiaia è “il periodo meno assennato dell’esistenza”, l’unico nel quale può venire in mente a un ottantenne di ripercorrere la propria biografia intellettuale, con il risultato di tracciare di sé un “ritratto di lettore sventato mentre scrive in margine avventatamente”. A partire dai primi ricordi familiari, tanto lontani da presentarsi solo come “frammenti”, anzi: “sentimenti” che hanno conservato la loro forza, il loro significato, quello in particolare di aver probabilmente originato “la spinta a scrivere”: “Mi sembrano sentimenti – commenta infatti l’autore –, o forse sono già finzioni”.

Finzioni che ci riportano alle figure di Via Gemito, il migliore dei romanzi di Starnone. Ma se gli ha fornito motivazioni e materiali per raccontare, la vita di uno scrittore è fatta anche di libri, di quelli letti prima di tutto, oltre a quelli scritti. I libri di racconti in particolare (Gogol’, Twain, Poe), perché “Se uno trova la sua via, esso [il racconto] diventa un’esistenza parallela, quella in cui la vita di ogni giorno è come estratta da sé e caricata di energia”, sapendo però che “solo quando si impara a essere disonesti coi fatti, nasce il racconto. Se, come narratore, mi fermo alle cose come sono andate, né il racconto né le cose vanno molto lontano. (…) Ciò che realmente è accaduto deve cedere alla disonestà del narratore perché il racconto diventi vero. (…) Quando scrivo, è raro che mi inventi di sana pianta delle situazioni; poi però, alla fine, io stesso mi meraviglio della disinvoltura con cui ho tradito fatti e persone della mia esperienza”. Già da questo passaggio abbiamo un’anticipazione dell’andamento del libro: resoconti di lettura trascorrono in osservazioni sul proprio lavoro di narratore, il lettore non si distingue dallo scrittore, scrivere appare una pratica contermine, in osmosi con il leggere. Ma entrambe non sostituiscono la vita: “non c’è racconto che valga l’esistenza”. Anche se in questa, a sua volta, proprio alcune letture appaiono periodizzanti. Così Cuore, su cui – assicura Starnone, tornano al sé stesso lettore di dieci anni – “ho pianto tanto quanto poi, una quindicina d’anni dopo, ho riso” e “sia il pianto che il riso sono stati un piacere”.

Leggere e far leggere: l’autore torna spesso sulla sua esperienza di insegnante, da cui sono nati libri come il fortunato Ex cattedra, ben sapendo tuttavia che suggerire letture ai ragazzi “è tempo sprecato. I pochi che amano già leggere leggono e probabilmente leggeranno per tutta la vita. Gli altri o leggiucchiano o il libro nemmeno lo sfogliano”. Una differenza che affonda le sue radici nell’infanzia. Come quasi tutto ciò che distingue le persone. E priva molte di esse, se non la maggioranza, di piaceri come quello che sono in grado di dare i grandi scrittori, quando li si sia letti cercando di mettere a fuoco le ragioni della loro grandezza. Natalia Ginzburg per esempio, che “regalava la suggestione della semplicità senza il fastidio della semplificazione” e con la sua scrittura “studiatamente umile” “non umiliava l’esperienza dei lettori ma la irrobustiva suggerendone la narrabilità”. O Raymond Carver, la cui voce narrante si direbbe “al lavoro su un non-senso dal quale non è detto che riuscirà mai a cavare senso o, cosa ancora più improbabile, il vero senso”: “di sicuro sappiamo solo che ai personaggi è successo qualcosa e che quel qualcosa ha sospinto le loro esistenze verso il fondo o le ha fatte miracolosamente risalire a galla”. Ma attenzione, “non si tratta di qualche furbizia letteraria”, bensì del fatto che, “anche quando ci teniamo bene ancorati ai fatti nudi e crudi, nessuna sintassi narrativa collaudata riesce a contenere veramente la vita”. Ecco il punto: ce l’aveva già detto lo Starnone scrittore (“non c’è racconto che valga l’esistenza”), ora ce lo conferma il lettore. Ma, al di là di questa convinzione, resta la constatazione che proprio i personaggi di Carver ci suggeriscono, e non riguarda solo loro: la constatazione della “necessità”, dell’“urgenza di far racconto della propria esperienza”. Che esperienza non sarà mai, altrimenti. Di qui il tratto che distingue autori come Carver, fedeli al principio che “il compito di uno scrittore è non nascondere ma esibire onestamente la materia grezza – la sua esperienza, appunto – su cui si affanna a lavorare”. E non nascondere neanche il fatto che anche lui, che scrive, è un uomo come gli altri. Perché, tutti, “siamo organismi che non fanno che raccontarsi e raccontare, ma che non sanno, non possono sapere veramente, cosa sta succedendo”.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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