Franco Arminio, Atleti, HarperCollins 2022 (pp. 83, euro 14)
Non sei mai stato uno sportivo, né hai mai avuto interesse per lo sport. E dunque. Ma lui lo conosci, è il paesologo, il cantore della montagna abbandonata…
Leggi la prima (è un libro di poesie): “Da bambino m’impegnavo / in molte sfide, fissare / il sole, resistere / al solletico, privarmi / del respiro. / Non vincevo e non morivo / perché subito fallivo”. Be’, ma allora, le premesse per diventare un amante degli sport c’erano anche nel bambino che sei stato tu…
Leggi l’ultima: “Volevo fare il giornalista sportivo, / viaggiare, raccontare grandi imprese / e ripartire. / Questi sono i miseri resti, / le prove / di come una vocazione / può fallire”.
È fatta. Un libro che comincia con il racconto dei primi fallimenti e si conclude con l’ultimo è di quelli da leggere.
E scopri che non occorre essere stati appassionati di questa o quella pratica sportiva, tanto meno attivamente, per aver visto – alla televisione in genere, e per brevi momenti: al bar, o facendo zapping – parecchio di quello che ritrovi qui: “le ragazze coi pattini somigliano alle attrici, pensano molto al proprio ruolo, dimenticano il ghiaccio che copre il suolo”, brillanti e belle, e consapevoli di esserlo, quanto opachi al limite dell’afasia i maschi: “Intervistati dopo il trionfo / i campioni si dichiarano contenti. / Sono forti e non hanno /altri sentimenti”. (Ma non cambia se non sono forti: chi se lo è dimenticato il “So’ ccontento” di Gassman pugile suonato nei Mostri?).
Ma non è vero che si tratta solo di cose viste alla tele. Tuo padre giocava a bocce, e ti portava a guardare, e faceva esattamente così, come del resto i suoi compagni di gioco: “restano tesi dopo il tiro / muovono appena la testa, / la spalla, / come se volessero / indicare la direzione / alla palla”. Delle volte, a tuo padre, sfuggiva anche qualche gridolino di incitamento. Rivolto alla boccia che si era appena staccata dalla sua mano, e poi uno di delusione, se quella non era andata a un pelo dal boccino. Come se l’avesse tradito, dopo che ci aveva messo tanto amore nel pulirla con lo straccino e coccolarla fra le mani, prima di tirarla.
E arriva il momento che l’autore ti obbliga a passare dall’altra parte. Dalla parte dell’atleta. Del ciclista, per esempio, e in bici sì, ci sei andato per una vita, e a qualche tappa del Giro, o del Tour, a quella sì, hai continuato a dargliela un’occhiata, e li hai visti, i gregari, il loro pedalare che sembra solo lavoro: “a volte guardo gli alberi, le rose – è uno di loro che parla –, / i palazzi, il fumo, insegne e vetrine, / le donne, i laghi i fiumi in agonia, / il grano e gli orti (…). Mi piace restare indietro, in attesa (…) / restare in mezzo al gruppo per parlare, / sentire gli umori, le impressioni”. Ed è ancora chi lo sport lo sta facendo a parlare in quella sul sollevatore di pesi: “Prima di piegarmi sul bilanciere / penso al giorno in cui sarà un problema / anche alzare un bicchiere”. Dev’essere uno ormai vicino alla condizione di quello di un’altra poesia: “Io non sono mai stato felice /fuori dalle gare / e ora non so che fare, / presto devo decidermi / a lasciare”.
Ti riescono simpatici questi atleti, persino i calciatori, almeno quando sono come quello “Rimasto a lungo in panchina”: “chiamato a riscaldarmi all’improvviso, / resto avulso dal gioco, / cerco il fuoco della gara / e non lo trovo”, ma anche quando si tratta di quelli in partita: “La folla a picco su di noi / non è qui per svagarsi, / vuole solo vincere / infiammarsi”.
Arrivi alla fine e non sai cosa pensare: se ti sei perso qualcosa a passare la vita senza interessarti di sport, o se, dopo tutto, dello sport non occorre interessarsi più di tanto per vederci quel che ci ha visto un poeta.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.