Italo Calvino, Il libro dei risvolti. Note introduttive, quarte di copertina e altre scritture editoriali, Mondadori 2023 (pp. 430, euro 15)
La “scrittura paratestuale” di Italo Calvino, impiegato, dirigente e poi collaboratore esterno dell’Einaudi fra il 1947 e il 1983: brevi testi, per la maggior parte anonimi, di presentazione di libri e autori pubblicati dalla casa editrice, sono quelli che leggiamo in questo libro. “Il massimo del tempo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei”, avrebbe constatato lo stesso Calvino a fine anni ’70, riferendosi anche alle cinquemila lettere intercorse tra lui e gli scrittori con cui era entrato in rapporto – una selezione è comparsa in un libro intitolato appunto I libri degli altri, Mondadori 2022, il cui curatore, Giovanni Tesio, sottolineava come quello con gli autori suoi corrispondenti sia stato sempre un dialogo per lo più ma non esclusivamente editoriale, che almeno in parte coinvolgeva l’officina e i retroscena delle sue stesse opere”.
Va tenuto presente, del resto, che lo stesso Calvino ammetteva che “Giudicare (…) i libri altrui è sempre un lavoro utile e appassionante, e meno impegnativo e faticoso che scrivere i libri propri”.
Nell’introduzione a questa raccolta, Tommaso Munari, storico dell’editoria, individua un’evoluzione nei “risvolti” e nelle note preparate da Calvino. Una prima fase, dalla fine degli anni ’40 ai primi ’60, appare dominata dall’intento di rivolgersi all’“uomo della strada” e dunque di “parlare a tutti nella lingua di tutti”, lasciando in alcuni casi trapelare le proprie propensioni politiche nate dall’esperienza partigiana ma, soprattutto, non nascondendo la competenza e i gusti dell’autore, per il quale i testi di carattere editoriale non sono tuttavia solo lavoro, ma continuano a rappresentare una “palestra di scrittura”. Dai primi anni ’60 le note di Calvino si fanno più complesse, in relazione a un interlocutore che si è nel frattempo definito in quanto “pubblico borghese, culturalmente più preparato e attrezzato”, ma è alla fine del decennio che si verifica una svolta: Calvino esce dall’anonimato, e la sua firma è diventata un “trampolino, un marchio di garanzia”.
Certo, essere lettori affezionati di Calvino è un buon motivo per leggere un libro simile, ma non ne mancano altri. Ad esempio il piacere di apprezzare la leggerezza concisa e l’esattezza di giudizio dell’autore, per il quale Romeo e Giulietta di Shakespeare è il “poema della gioventù e dell’amore, un amore che ha il trepido stupore della prima rivelazione e la pienezza d’una stagione di vita assoluta”, e Desdemona, personaggio di una “tragedia che assume l’aspetto più moderno di dramma coniugale”, appare “una melanconica donna che di momento in momento scopre come il matrimonio può significare condanna e perpetua paura”. O, saltando al contemporaneo, il Diario partigiano di Ada Gobetti è “sempre e soprattutto i libro d’una madre, se pur d’una madre d’eccezione, la madre di un partigiano che va a combattere a fianco del figlio”, diciottenne.
La lettura di queste pagine permette tra l’altro di conoscere i riferimenti letterari principali di Calvino e, per questo tramite, i parametri che secondo lui fanno di uno scrittore un grande scrittore, personificazione esemplare di quel che la letteratura può dare: i romanzi di Dickens non ci offrono solo uno “specchio della vita inglese del suo tempo, ma nella loro essenza un’epopea del sentimento umano di ogni tempo e di ogni luogo”, e “il dono fondamentale del narratore” – come nel caso di Kipling – è “il sapere intravedere, da un’esperienza marginale o indiretta, il segreto di tutto un ambiente, di tutto un mondo”, mentre per il Tournier di Venerdì, “il rifacimento è la forma più corretta e concreta di invenzione”. Indice della statura di un autore è poi il saper creare personaggi indimenticabili, come la Tatiana dell’Eugenio Oneghin di Puškin, prima donna nella letteratura moderna ad affermare “la sua libertà non nell’abbandono alla passione ma nella costruzione d’una volontà morale”, o come il protagonista che Heinrich Mann delinea nel suo Il suddito, “un ritratto spietato, un profilo che ha il collo taurino e il tozzo sigaro dei disegni di Grosz: fondamentalmente stupido, facile al sentimentalismo ma incapace di veri sentimenti, avido, brutale”, qualità che “lo pongono sulla linea del nuovo ‘eroe del nostro tempo’: il conformista”. Ma sono anche figure ormai consacrate dai lettori a ricevere nuova luce dal giudizio di Calvino, così l’Holden di Salinger, “col suo gergo da adolescente” e “il suo voler fare il ‘duro’, ma con tutta la sua disarmante purezza e sincerità e desiderio che il mondo sia migliore di quello che è”.
Tanto più brillanti risultano i profili dei personaggi che Calvino traccia quanto più i loro autori sono a lui vicini: la Zazie di Queneau, “giovanissima e antica, ‘terribile’ e saggia”, “non è Lolita: ne ha l’impertinenza, la durezza, il perfetto aplomb, ma il suo mondo è ancora di favola, le sue peripezie sono miracolosamente innocenti, le ‘insidie della metropoli’ la sfiorano senza toccarla. E si fanno ancor più partecipati i giudizi che Calvino formula a proposito di scrittori italiani con cui ha condiviso esperienze umane e professionali: “Il diario di Pavese – scrive a due anni dalla morte del collega e amico, e maestro – non è una storia di giorni e di fatti. È la storia d’una vita interiore”, in cui “la ricerca del ‘mestiere di vivere’ si fa sempre più disperata”, mentre si affina la sua perizia letteraria, giungendo a “stringere nel giro di cento-centocinquanta pagine il senso di più esistenze d’uomini e di donne, un colore dei luoghi e d’ore, un’interrogazione sul mondo”. Ugualmente ammirato è lo sguardo che si posa su Natalia Ginzburg, la cui narrativa è, nella sostanza, “il lirico specchio d’un tempo interiore”, grazie anche alla sua capacità di “far uscire da una narrazione discorsiva e semplice ma tutta intessuta di fatti (…) in una prima persona modesta e sommessa, un mondo di drammatici rapporti umani, di caratteri rilevati, una forza e una disperazione a vivere”. Un’altro commento, quello su Elsa de’ Giorgi, si segnala in particolare, essendo stato scritto nel 1955, l’anno in cui iniziava il travolgente e burrascoso amore di Calvino per l’attrice e scrittrice, nella cui scrittura si manifesta l’“occhio penetrante e subito giudicatore d’una donna attenta ai trapassi del costume, del linguaggio, del tono delle convenzioni intellettuali, con la freschezza e l’humour d’un libro di mémoires d’una dama del Settecento, ma con in più un preciso impegno morale” che le fa prendere “coscienza del tragico mondo – l’Italia fra 1940 e 1950 – che la circonda e impara a vedere e capire”.
Una ragione ulteriore per ripercorrere questi brevi scritti sta nel fatto che in essi, pur dedicati a libri non suoi, emergono con sfumature diverse aspetti decisivi dell’impegno civile di Calvino, tutt’uno con la sua ininterrotta riflessione esistenziale, con la sua vocazione di moralista. E sono la morale del lavoro contro il potere del denaro e “l’infinita ricchezza morale della gente legata alle cose e alla natura” a venire in luce: nella Madre Coraggio di Brecht, figura emblematica del “buon senso popolare davanti all’illogicità” della guerra e di “quel sorprendente spirito d’adattamento che le calamità rivelano nei poveri”, o nell’operaio montatore Faussone della Chiave a stella di Primo Levi, “stilista d’una morale netta e metallica”, rappresentante “di quella quasi ignota civiltà della competenza che pure esiste in Italia, ed in cui rivive l’antica nobiltà dell’artigiano che fa le cose con le proprie mani”, o ancora, nella protagonista dell’Agnese va a morire, di Renata Viganò, che sa trasmettere “il risentimento collettivo di fronte all’offesa dell’invasione, il buon senso popolare che si trasforma in volontà di giustizia e in capacità di lotta organizzata”, facendone una “cronaca che ha l’esatta semplicità dei pensieri e dei gesti del popolo” e dando conto del “miracolo della Resistenza (…) il miracolo che si ripete ogni volta che il popolo sviluppa un’iniziativa, assume la responsabilità del suo avvenire”: è l’esperienza stessa di Calvino a risuonare in queste parole, scritte nel ’49, e a comparire spesso nelle sue note è appunto la Resistenza italiana che, “vicina ancora negli anni – scriverà quattro anni più tardi –, già sfuma nella luce delle epoche leggendarie”, mentre è, e rimane, “storia di tutti”.
Poter constatare, da un punto di vista insolito, la grandezza non solo letteraria di Italo Calvino è, in conclusione, l’opportunità che può offrire questo libro, oltre tutto fonte di suggerimenti suggestivi e autorevoli di letture e, soprattutto, di riletture.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.