Il bisogno di denaro e la paura della morte

Claudio Piersanti, Ogni rancore è spento, Rizzoli 2023 (pp. 288, euro 19)

Il titolo richiama alla mente il romanzo di Vita Sackville-West, Ogni passione spenta, ma qui di passione non ci sono tracce. A meno che il rancore non lo si voglia annoverare fra quelle passioni tristi che caratterizzano il nostro tempo. È infatti una rabbia sottotraccia a dominare il protagonista, un sentimento che trae origine dalla storia familiare, segnata dal solito padre assente e dall’altrettanto ricorrente figura della madre vittima della prepotenza disinvolta del consorte. L’autore – ed è questa la parte più convincente del romanzo – fa emergere poco alla volta un carattere, un modo di stare al mondo che è andato via via formandosi in questo brillante viceprimario, sempre aggiornato ma anche attento al suo tornaconto (in nome del quale ha abbandonato l’ospedale pubblico per la clinica privata in cui vecchi danarosi concludono le loro esistenze), diagnosta geniale, affabile quanto basta con i colleghi e comprensivo con i pazienti.

E tuttavia abitato da un malessere inestinguibile, e crescente: “non provava nostalgia del passato ma sentiva la malinconia del presente, e l’angoscia del futuro che diventava presente”. Rivoluzionario in gioventù, non serba che un “tiepido socialismo di maniera, determinato anche dal suo conto corrente, secondo lui incompatibile con il suo passato”, e del resto nella sua vita, da anni, non c’è ormai che la professione, gratificante sì, ma incapace di dar senso alla sua vita. Anzi, il contatto quotidiano con la morte sembra contagiarlo: “la democrazia della morte gli era chiara e l’accettava ma sentendosi compreso nel mucchio era da qualche anno entrato in una dimensione che cercava di mantenere segreta anche a se stesso: l’ipocondria” – che lui, medico valente, propende a confondere con la semplice conoscenza del corpo umano e del suo equilibrio instabile, essendo la salute “il bene più provvisorio della vita”. “C’è la vita vera – infatti –, brevissima, poi una lunga e inutile sopravvivenza, poi la morte”. In definitiva, “erano rimaste attive due forze, dentro di lui: il bisogno di denaro e la paura della morte”. Due coordinate in cui non sembra trovare spazio l’apertura a un rapporto non formale con gli altri. Almeno fino a che tre personaggi entrano in scena: un amico di gioventù, ricchissimo, edonista senza illusioni, generoso e cinico almeno in apparenza, disperato quanto lui, in realtà; una sedicenne che si rivela essere la sua sorellastra, figlia di quel padre sciagurato che è ormai giunto alla fine dei suoi giorni; una nuova collega che si ostina a rompere il guscio di solitudine che lui si è costruito attorno.

Le alterne vicende che condurranno a un lieto fine, o meglio: che costringeranno il protagonista a non sottrarvisi, occupano la seconda parte del libro, in cui la narrazione sembra a volte girare a vuoto, arenarsi quasi, ma Piersanti, con le sue storie in cui non succede nulla che non ci si possa aspettare, ama allineare il ritmo della scrittura al carattere del personaggio: se nel romanzo uscito un paio d’anni fa, Quel maledetto Vronskij, la vita ripetitiva dei protagonisti si rifletteva nella lentezza del racconto, qui è il ripensamento continuo e inconcludente di quest’uomo irrisolto a imporsi alla narrazione.

Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.

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