Domenico Starnone, Il vecchio al mare, Einaudi 2024 (pp. 128, euro 17)
Un vecchio, seduto in spiaggia, che scribacchia e osserva chi gli sta intorno, soprattutto una graziosa ventenne sulla sua canoa rossa: il primo pensiero va al von Aschenbach di Morte a Venezia, ma il protagonista del romanzo di Starnone ha tutt’altro atteggiamento, sia verso gli altri che verso sé stesso e la propria fragilità di ottantaduenne. Nella ragazza rivede la propria madre, la immagina anzi per come poteva essere stata da giovane, prima che la morte se la portasse via appena quarantenne.
Ma non fantastica di amori impossibili per un uomo della sua età, anche se gli anni non hanno rallentato la sua mente né hanno atrofizzato il suo cuore: lucidità e autoironia lo guidano nel trarre bilanci della propria vita, nella consapevolezza che quello che aveva imparato ormai serve a ben poco di fronte alle questioni prevedibili e insieme inedite che l’ultima stagione della vita pone: “pur essendo la vecchiaia sempre un balcone sull’insignificanza, non volevo cedere, [ma] avevo paura di cadere giù”, così Nico sintetizza la propria condizione, senza tuttavia farne un dramma. È la capacità di continuare a meravigliarsi, non l’autocompatimento, a ispirare lo sguardo del protagonista.
Starnone prosegue così la riflessione avviata da qualche anno: era un uomo alla vigilia dei settant’anni quello che in Spavento (Einaudi 2020) prendeva atto che alla sua età “si gode il piacere di raccontare una dettagliata, spiritosa, amara fenomenologia delle percezioni e dei sentimenti di un vecchio alle prime armi”, per poi arrivare alla conclusione – in L’umanità è un tirocinio (in queste note nel giugno del 2023) – che la vecchiaia è “il periodo meno assennato dell’esistenza”. E dunque perché non assecondare gli scherzi affettuosi della signora Evelina, che pure gli ricorda la madre sarta essendo proprietaria della boutique del paese, o non cercare l’amicizia di Lu, la ragazza della canoa, o dello stravagante ex insegnante che ispeziona la spiaggia con il suo metal detector? e perché non lasciarsi convincere a comprare niente meno che un kayak, sul quale si avventurerà dando l’impressione di “giocare a Il vecchio e il mare, facendo rivoltare Hemingway nella tomba”?
Ma dietro queste bizzarrie c’è un intento preciso, che da sempre ha animato la vita del protagonista: la sua curiosità, la sua apertura agli altri è, anche, il modo in cui raccoglie immagini e idee da tradurre in scrittura, perché lui è questo che fa: “io nel corso della mia vita ho fatto di tutto, proprio di tutto, per smania di racconto”, ammette, per “smania di fare racconti con piccoli eventi della vita di ogni giorno”, cercando di “trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera”. Non può stupire allora che, per un uomo simile, ripensare la propria vita e ricostruire il proprio percorso di scrittura coincidano: “mi sono tornate in mente le pagine pretenziose che scrivevo da ragazzo. A quei tempi puntavo a comporre almeno un’opera fondativa, di quelle che durano nei secoli dei secoli (…). Ma poco dopo i vent’anni mi sono scoperto inadeguato e allora, per combattere il dispiacere, mi sono ricavato una mia piccola nicchia di consapevole medietà”. La scelta di uno scrittore, certo, ma anche lo stile di un uomo: “Agivo su di me come su un congegno, regolavo il volume, regolavo la velocità, e lo facevo non solo quando scrivevo ma anche quando provavo emozioni violente nella vita di ogni giorno”. Un modo di fare, questo, che si è di fatto tradotto in un atteggiamento di calcolato ritegno: “Tutte le volte, per esempio, che mi sono innamorato, ho raffreddato scientemente la smania e la passione, mi sono intiepidito ad arte”.
È a partire da questo riesame che si comprendono la magnanimità e la generosità del vecchio: un tentativo, estremo, di rimediare a una prudenza che s’era risolta nella peggiore delle avarizie, quella del cuore.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.