Se sei in fila alla Caritas non pensi alla rivoluzione

Riccardo Staglianò, Hanno vinto i ricchi. Cronache da una lotta di classe, Einaudi 2024 (pp. 162, euro 13)

Un dato per tutti: in 30 anni, dal 1990 al 2020, l’andamento dei salari medi italiani è andato regredendo fino a collocarsi, nelle statistiche europee, all’ultimo posto. Di qui le domande di apertura. “Come è stato possibile che la classe politica, tutta indistintamente ma soprattutto la sinistra che degli interessi della classe lavoratrice è stata storicamente portatrice, non ha fatto nulla “ per capire quali e quante cose dovevano essere andate storte per arrivare a quello sconcertante risultato?” e “com’è possibile che la classe lavoratrice, sia operaia che del ceto medio impoverito non (abbia) chiesto rumorosamente conto?”.

La risposta e, nella sostanza, il titolo stesso di questo libro, si riagganciano a un saggio dal 2012, La lotta di classe dopo la lotta di classe, di Luciano Gallino:”La lotta di classe esiste ma l’hanno vinta gli ultraricchi”, conferma Staglianò, che si propone quindi di “capire quali sono le cause principali di questa tragica caduta”.

Dati, confronti, ipotesi interpretative accompagnano il lettore, a partire dalla semplice constatazione di ciò che di fatto è avvenuto: “più (soldi) al capitale, meno al lavoro”. Ossia: il profitto considerato normale era fino agli anni ’70 dell’1-2 per cento, oggi è del 7-8 per cento. Un balzo che non sarebbe stato possibile senza automazione (a sua volta irrealizzabile senza l’apporto delle nuove tecnologie informatiche), da un lato, e globalizzazione dall’altro, con il conseguente spostamento della produzione in paesi dove i salari sono più bassi che in patria. A ciò si aggiunga che “anche il fisco premia il profitto” e la politica favorisce la finanziarizzazione dell’economia, mentre il potere sindacale espresso nella contrattazione collettiva va progressivamente riducendosi.

Ogni affermazione è sostenuta da numeri inequivocabili, ma preceduta – accorgimento decisivo per il lettore – da un titoletto che fa sintesi: “2005-2011: triplicano i poveri assoluti”, “Essere giovani è una colpa grave” e così via.

Ai capitoli si alternano “Intermezzi”: dopo il primo ad esempio (Anatomia di una caduta: occorreva il titolo di un film per descrivere la realtà…), segue un “reportage” su “alcune storie di ricchi” diventati negli ultimi anni sempre più ricchi: dalla vacanze a Forte dei Marmi o a Cortina agli ultraprofitti immobiliari realizzabili nel “cementificio nazionale Milano” e ai sogni costosissimi di longevità estrema offerti in Svizzera ad anziani nababbi (“La vita eterna è l’unica cosa che ancora non possono comprare”).

Prima di passare alla domanda decisiva: “perché nessuno si arrabbia?”, l’autore si preoccupa di spiegarci nel dettaglio come i ricchi sono diventati sempre più ricchi. In estrema sintesi: sindacati e tasse come le due bestie nere da cui guardarsi, e parallelamente ma non disgiuntamente, passaggio – culturale, non solo politico-economico – dal keynesismo al neoliberismo, da una concezione dell’economia che include il bene comune entro il proprio orizzonte ad un’altra che lo considera una zavorra ingiusta, inaccettabile; da un’idea del rapporto fra povertà e ricchezza come oggetto di necessari interventi di mitigazione a un’altra che vi vede solo il legittimo esito di un confronto fra vincenti e perdenti. Essere ricchi è un merito, esseri poveri una colpa.

E dunque, perché non succede nulla pur trovandoci – ha dichiarato un studioso come Thomas Piketty – “in una situazione che non è molto diversa da quella che portò alla Rivoluzione francese?”

Perché “se sei in fila alla Caritas non pensi alla rivoluzione”: “il senso di precarietà e il timore che tutto possa andare addirittura peggio hanno chiuso la nostra società sulla difensiva”, e “in questo rimpicciolimento anche ideale la sinistra ha responsabilità enormi”, anche se “attaccare Il Pd è come sparare sulla croce rossa”. Ma d’altra parte, “se non la propongono loro, e i sindacati, un’immagine credibile di società diversa, chi deve farlo?”.

Un esempio raro, questo lavoro, di come sia possibile ricavare storia da una cronaca che, spesso al di là delle intenzioni, diffonde il virus della rassegnazione.

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